Con il consenso dell'autore alcuni suoi lavori
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MEL MIRARE IL FARO SULLA SCOGLIERA
S'INFRANGONO
SUGLI ASSOLATI SCOGLI
DEL MARE L'ONDE...
SPUMEGGIANTI... M'INEBRIANO
TRAVOLGENTI... MI TENTANO!
SI RINCORRONO
LE CAVALCANTI ONDE
SUBLIMANDO L'ANIMA MIA...
GIOCOSE... MI TENTANO
VOLUTTUOSE... M'INVOCANO!
CHIMERA
E' QUESTA VITA MIA
MIRABILE FANTASIA
CHE REALTA' DIVENTA
OGNI SERA
NEL MIRARE I SILENTI SCOGLI
E LE PACATE ONDE
DEL FARO SULLA SCOGLIERA!
DOVE CADE LA NEVE
Magica quiete regna
dove cade la neve:
picchi altezzosi
o silenti boschi,
finemente ricamati
di bianco candore.
Si rallegrano i cuori
di uomini e donne
nell’angolo di mondo
dove cade la neve,
ancor più dei bimbi,
che candidi sono:
fiocchi di neve!
Soffice e lieve
cade la neve,
senza rumore,
ma nell’anima mia
non v’è allegria,
solo tanto dolore,
e nessuno mi crede,
tanto,
la mia sofferenza,
nessuno la vede.
Volerò sulle cime
degli altezzosi picchi
e fermerò il tempo,
sfiderò i suoi silenzi
e placherò le mie ire,
certo di trovare, colà,
la negata serenità.
L’ O R I Z Z O N T E
Dove la vita
pare finire;
dove cielo e mare
vanno a dormire;
dove ad occhi chiusi
un altro mondo puoi immaginare;
dove il nulla sempre vivrà
perché l’immensità
prigioniera è dell’eternità.
MARE...
blu profondo
acceso da mille colori;
MARE...
invito a chi l'ama
e non aspetta l'estate
per lasciarsi cullare
e rinfrescare;
MARE...
immensità... eternità...
perla di rara BELTA' !
SOLCHI DI LUCE RIFLESSA
Qual fitto bosco,
ove fiera creatura s’annida,
protetta dalla foschia:
così era l’anima mia,
priva della Tua Luce.
Fosco ogni mio pensiero,
senza senso la quotidianità:
vivevo senza dignità!
Ho conosciuto il dolore,
il rimpianto e l’amarezza,
ora ho il Tuo Amore,
il Tuo conforto,
il Tuo calore!
Solchi di luce
rischiarano il buio
del mio cuore,
dove non c’è più gelo
ma nuovo ardore.
LA MORTE
Improvvisa,
arriva la morte,
silenziosa,
apre le porte;
non ha mai
appuntamento,
viene e porta via,
come una magia,
senza un lamento.
Non è la vita,
d’essa è più forte:
così è la Morte!
D’ognun di noi
essa è buona
o cattiva sorte,
ma fedele
sempre sarà
perché eterna
come l’eternità.
SIAMO DAVVERO TUTTI FIGLI DI DIO?
Guardali bene, mio Gesù,
e dimmi se è vero che Dio,
il celeste Padre Tuo,
ha creato anche loro,
questi martoriati figli,
rei di essere nati in terre
dove il Male impera sul Bene
e la differenza tra vita e morte
è delimitata dall’esito
di nefaste guerre.
So per certo che Tu,
mio incolpevole Gesù,
vuoi il trionfo del Bene,
ma allora mi chiedo:
“Perché consenti all’Uomo,
creato a Tua immagine e somiglianza,
di perpetrare tali mostruosità?
Perché non prova pietà,
né sente rimorso alcuno,
chi uccide con tanta malvagità?”
Proteggi queste anime innocenti,
mio onnipresente Signore
e dimmi se anche Tu, come me,
provi angoscia nel vedere
quelle bocche cercare il latte
nei seni aridi di madri
prive di materno calore.
Perfino le mosche
contendono loro
residui di latte
rappreso fra le labbra,
mentre Malaria, Ebola e AIDS
mietono più vittime
degli stessi iniqui conflitti.
E perdona me, mio Signore,
che colpevole sono
d’essere innocente figlio Tuo,
ombra in cerca di Luce,
anima assetata di Verità.
In Te non vedo più
quel Dio di pace e d’amore
che adoravo e supplicavo,
invocavo… e pregavo!
Un dì lontano,
non avevo motivo di dubitare;
un dì lontano,
sapevo amare e perdonare.
Quel dì, mio radioso Signore,
fa che non si allontani troppo!
CANZONE PER IL MONDO
(che sta per toccare il fondo)
Sotto un cielo limpido e rotondo,
felice viveva la gente del mondo,
protetta da un Uomo celestiale,
del mondo… suo ombrello naturale!
Ma un giorno l’ombrello fu bucato
dall’ incedere di un progresso snaturato,
che cielo e mare andava inquinando
e il clima del mondo… cambiando!
Dal dì che il buco in ciel si manifestò,
in peggio la vita dell’uomo cambiò,
gravemente più di uno s’ammalò
e per sempre dalla Terra se ne andò.
“ Dio… come sono malridotto!
Sono più friabile di un biscotto!”
Così si lamentava il mondo,
sempre più simile a un vagabondo
Con il lento passare degli anni,
degli uomini crebbero gli affanni:
i raggi del sole forte picchiavano
e i bimbi al mare ustionavano!
Furono fatte leggi e promesse
parole… parole… sempre le stesse,
ed ora è gravoso pagarne lo scotto
che duro è… più di un biscotto!
“ Ogni cosa al suo posto tornerà! ”
dice il Dotto col suo bla… bla,
ma nel cammino verso il futuro
il passo è sempre più insicuro.
Per fortuna ci sono i bambini
a rallegrarci coi loro sorrisini,
i soli che rendono questo mondo
un paradiso celeste… e giocondo!
CHI HA TEMPO…
...NON PERDA TEMPO!
C’ era una volta in fondo al mare
una sirenetta che non sapeva nuotare.
“Se non impari a nuotare”,
le diceva la mamma,
“nessun sirenetto ti vorrà sposare!”
“Se un giorno mi sposerò”,
ribatteva la sirenetta,
“a nuotare imparerò!”
Intanto il tempo passava
e nessun sirenetto la cercava,
perché ognuno pensava:
“Una sirenetta che non sa nuotare…
…di certo non sa amare!”,
e non le correvano mai dietro,
nemmeno quelli di nome Pietro.
Gli anni passarono in fretta
per la sempre più sola sirenetta,
che la bellezza vide svanire velocemente,
colpa della vecchiaia ovviamente.
Se ne accorsero pure i sirenetti,
che le facevano sempre tanti dispetti,
e se ne avvide anche lei, poveretta,
che un brutto dì si ritrovò… la barbetta!
“Sembro una capretta!” esclamò,
quando allo specchio si guardò.
Era vecchia e puzzava già,
tanto che, chi passava di là,
la scambiava per pesce baccalà!
A CHI TARDI FA…
...SEMPRE MALE VA!
A scuola
Pierino non voleva andare
perché presto al mattino
non si poteva alzare.
“ Se a scuola sempre tardi farai ”,
gli dicevano mamma e papà,
“ nella vita nulla di buono combinerai! ”
Ma Pierino se ne fregava,
tanto paparino lavorava
e mammina lo coccolava.
Aveva quasi vent’anni, Pierino,
quando perse la mammina
e pure il paparino:
un dì se n’erano andati…
…dal cielo chiamati!
Non sapendo mai cosa fare,
Pierino passava il tempo a bighellonare,
tanto che si ammalò di quella malattia
conosciuta col nome di… lagnusìa! *
“ Domani sarà un giorno migliore! ”,
pensava fiducioso Pierino
quando la sera s’infilava nel suo lettino,
ma si sbagliò di grosso, il poveretto,
che morto, un dì,
fu trovato nel suo letto.
Questa è la triste storia di Pierino:
mi auguro che non gli somigli alcun bambino.
* termine siciliano: noia, voglia di far nulla.
B I N A R I
Fine non hanno i binari!
Li guardi…
ma non sai dove vanno!
Sono solamente binari,
semplici o doppi,
freddi serpenti d’acciaio e ferro
che s’allungano all’infinito.
Non finiscono mai i binari!
Li scruti…
ma non sai da dove vengono!
Sono solamente binari,
semplici o doppi,
perfette geometrie scientifiche
che corrono parallele
fino a raggiungere i cuori del mondo.
Sono gioie e dolori i binari!
Binari… quanti binari!
Linee vive e rami secchi,
binari morti,
dove sostano inutili carri vuoti,
come questa vita mia,
che inutile e vuota sarebbe
se non avessi la musa
che m’invita alla Poesia.
L A S T A Z I O N E
Un alveare
che pulsa
giorno e notte,
una hall
di gratuito hotel
dove,
a tutte le ore,
uomini e macchine
si fondono,
e si confondono,
nell’attesa di un dolce
e sospirato arrivo,
o dopo triste
e amara partenza.
I L C A P O S T A Z I O N E
3^ classificata al PREMIO CASENTINO '89
ed inserita nell' ANTOLOGIA
curata dalle EDIZIONI M.E.M.
di AREZZO
I L C A P O S T A Z I O N E
Luci ed ombre si rincorrono nella stazione.
Sui marciapiedi, accanto ai binari,
c’è chi urla, festoso, e chi piange, mesto.
Due fari, bianchi e rotondi,
appaiono in lontananza
ed un fischio lacera l’aria
fermando i battiti nei cuori d’ognuno.
Sferragliando,
il treno entra in stazione,
frena… stride… e poi s’arresta!
In un minuto di sosta
si dà sfogo agli ultimi baci,
abbracci, carezze e messaggi accorati:
“ Scrivi… telefona… fa’ buon viaggio…
a presto… ciao! ”
Poi il treno se ne va, fischiando,
incurante di ciò che lascia dietro di sé.
Così è la vita nella stazione:
sempre uguale… sempre la stessa!
Ed io,
travolto dagli altrui sentimenti,
penso al giorno in cui,
per gioia o dolore,
illusione o speranza,
prenderò il mio treno
per “volare” lontano.
Ma intanto, nell’attesa,
ogni giorno arrivo e parto,
gioioso e triste, illuso e deluso,
quasi fossi uno di loro
e non soltanto il Capostazione!
I N QUESTO MIO SPLENDIDO MARE
Tutti i giorni vado al mare
dove altero svetta il faro
che a nave alla deriva
speme dona e riparo.
Per questo mio splendido mare
vivo e vitale come il faro
lupo di mare sono e diva
di mistica beltà e sorriso amaro.
In questo mio splendido mare
cullato da sua fresca realtà
insieme a cento e più sirene
sfogo trova la mia libertà.
L U C E
Rubo
ogni giorno
a questa vuota
vita mia
struggenti versi
di poesia
sperando
che rischiarino
con la loro luce
gli angoli bui
di un’esistenza
priva di coerenza
ma scevra
d’umana indifferenza.
DOCTOR JEKYLL O MISTER HYDE?
Dentro di me, una volta,
albergavano buoni sentimenti:
amore, bontà e sete di verità,
ora, invece,
c’è posto anche per la malvagità.
Non sono più doctor Jekyll,
questo è certo,
e nemmeno mister Hyde,
non ancora!
Ma se Dio non volge a me
lo sguardo suo misericordioso,
prima o poi succederà.
Sento che sto per varcare
il limitar della follia,
sento la ragione svanire
e aspetto, terrorizzato,
il giorno in cui
l’uno vincerà l'altro,
lasciandomi dentro
mite doctor Jekyll...
o feroce mister Hyde!
Dal mare inquinato,
sporcato da umana bruttura,
perfino tu, amato gabbiano,
ti sei allontanato.
Soffocato dal progresso
e da mirabolante futuro,
non è più puro
il cuore dell' UMANITA'...
non esiste la BONTA'...
non c'è un briciolo di PIETA'...
svanita è la parola DIGNITA'...
soccomberemo alle nostre ATROCITA' !
S E R E N I T A’
La vita
non m’ha dato
quel che volevo,
quindi,
accetterò la morte,
che,
dopo lunga attesa,
mi aprirà le sue porte.
Non mi chiedo
come sarà
il viaggio nell’aldilà,
dove scorderò,
ne son certo,
di vita terrena,
ogni turpe infamità.
IL GABBIANO
Sulla scia della nave
con sul becco un sorriso
un gabbiano va soave
ed il sol gli scalda il viso;
volteggia spensierato
felice di volare
mirato è dal Creato
quando lambisce il mare.
Toccar non puoi con mano
il volo del gabbiano!
Riflessi di sole argentato
abbagliano lo sguardo mio
riflettono le acque dorate
la Luce di Dio.
Mi specchio in cotanta beltà
attratto dalla sua immensità !
Del mare
di sua beltà
gioioso miro
l'immensità.
Procella non temo
ma silente resto
al cospetto di sua
maestosità .
Nullità son io
e niente è
colui che
cieca fede
in Dio non ha!
IL CAPOSTAZIONE DI CAMPAGNA
Assai carina è la mia stazioncina
meta continua di bambini
che stando in mia compagnia
danno sfogo alla loro fantasia.
Nella villetta piccolina
c’è la vasca con i pesciolini
ci sono rose e tanti altri fiori
e gelsomini dagl’inebrianti odori:
l’immagine tanto amata
della vecchia FERROVIA!
Nella stazione di Castelluccio
i treni si fermano raramente
mi sentirei solo veramente
se non ci fossero loro
a farmi compagnia:
urla di gioia e schiamazzi
ben lungi tengono
la noia e la monotonia.
Nel silenzio della villetta
seduti in cerchio
ai bordi della vaschetta
i bambini aspettano il treno:
il suo fischio in lontananza
sembra dire:
“ Eccomi, arrivo… miei tesorini! ”
E mentre il treno s’allontana
ne seguono la fuggente scia
con le ali della fantasia.
Nella stazione di Castelluccio
lontana anni luce dalla tecnologia,
ancor si respira quel romanticismo
della cara, vecchia FERROVIA:
il cuore prende questa malattia
fatta di brividi di nostalgia.
E intanto il tempo se ne va…
e le cose cambiano…
Ora è una Holding Commerciale
di cui non vedrò mai il finale.
Qual mitica e assatanata arpìa
tutto divora la nuova FERROVIA:
lo fa senz’alcuna pietà
perché un’anima più non ha.
Castelluccio siculo '98 - fra un treno e l'altro
AL TUO COSPETTO
Inerme,
qual verme,
son io,
mio Signore,
al Tuo cospetto!
Ti ho sfidato,
insultato e ingiuriato,
rinnegato perfino,
e Tu,
immenso e infinito,
mi hai ascoltato,
perdonato!
Ma ancora non Ti vedo,
mio Signore,
ed è per questo che,
in Te, non credo.
“ IN HOC SIGNO VINCES ”
dicesti a Costantino,
ma con me sei ingiusto:
mi fai sentire un caino.
Se niente son io,
chi sei Tu
che arbitro Ti fai
di vita mia?
MostraTi,
ed io Ti amerò;
parlami,
e ai Tuoi piedi
mi prostrerò,
sì da vivere in eterno
di Tua luce radiosa.
I PILASTRI DEL CIELO
No, non sono
le vette innevate dei monti
a reggere la maestosità del cielo,
ma le virtù,
gli ideali di pace, di fratellanza,
e i buoni sentimenti:
rendono vincenti!
No,
non è il denaro dei ricchi
e dei potenti
a levare pilastri verso il cielo,
ma la saggezza,
la forza dello spirito,
l’ Amore per tutti quelli che
d’ Amore vivono,
e la cieca Fede
che possiede solo chi
oltre il cielo vede.
Sono questi
i pilastri del cielo,
invisibile velo
intriso di umanità.
Sono dentro di noi
i pilastri del cielo,
e sono forti e resistenti,
non un semplice velo.
Nella sua POVERTA'... tanta SERENITA' ! Poi sopraggiunse il PROGRESSO... che in mezzo secolo sfociò in mortal REGRESSO ! Or si vorrebbe tornare indietro di almeno 50 anni e più... e vivere sereni
sotto un meraviglioso e lindo cielo blu ! Lo voglio io... lo vuoi tu... lo vuole DIO... non se ne può più !
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CANZONE PER TE…AUGUSTA MIA!
Dal profondo del tuo limpido mare,
ogni dì il sol nascea e tu ti destavi,
veneranda Augusta “mia”,
sublimata da fragranti aromi:
inebrianti odori di zagara,
mandorli in fiore…e salsedine!
Il vento di levante,
qual carezza di focosa amante,
agitava le cime delle palme tue
e increspava l’onde del pescoso mare;
poi, l’antica Fortezza risalendo,
spolverava le saline
e raggiungeva le vie cittadine,
la gente a rinfrescare!
Eri romantica, allora, Augusta mia!
Ma un brutto dì… questa poesia finì:
al ciel si levarono
fumanti ciminiere di pietra e ferro,
in nome di vital progresso…
…oggi frutto di mortal regresso!
Saturo di gas maleodoranti
e venefici vapori stagnanti,
il cielo si vestì di grigio;
il sole impallidì;
il mare, prima lindo e pescoso,
divenne nero, oleoso;
i pesci, soffocati dall’ammoniaca,
fuggirono per non soccombere
al letal inquinamento;
le bianche e abbaglianti saline
divennero pestilenti acquitrini,
pure alla vista nauseanti.
Sei stata violentata, Augusta mia!
Spaventati e inorriditi,
noi tutti vorremmo tornare
all’umile casetta di campagna,
alla barca in riva al mare,
ai mestieri del tempo andato,
a quei fragranti aromi
che rendevano l’aria frizzante…
Ma è tardi, ormai, Augusta mia!
Stai morendo, veneranda Augusta “mia”,
anche tu, come tutti noi,
vittima di questi malsani odori
cui la Scienza ha dato sì triste nome:
T U M O R I !
franco di blasi - scrittore/poeta nella VENERANDA AUGUSTA -
NELLA TUA QUIETE…BRUCOLI DIVINA!
Ebbro di te
e della tua quiete,
vivevo magici momenti
ricamati da dolci sentimenti:
paradisiaca eri tu… Brucoli divina!
Nel magico silenzio
che percorreva i tuoi vicoli,
sol del mare udivo il fruscio
e dei bimbi l’allegro tramestio:
maliarda eri tu… Brucoli amata!
Travolta dal tuo essere,
or s’invola la mente mia
in cerca di novella poesia
ma in nessun borgo marinaro,
per quanto antico e silente,
luce trova il mio fantasticare:
eri il mio faro… Brucoli cara!
VECCHIO LUPO DI MARE
“Curvo sui remi
che fendono il mare,
un pescatore
continua a remare…”
Logoro il legno
che pare affondare,
un brutto segno
pel lupo di mare;
ritorna a riva
con tanta amarezza,
come una diva
senza più bellezza;
e guarda il mare
senz’alcun rancore,
non può remare,
non prova dolore;
scende la sera
per l’uomo di mare,
un tempo c’era
la forza d’andare;
sente la vita
ROSARIO FIORELLO : IERI - OGGI
Lode a te…Rosario Fiorello
d’Italica Augusta…il fiore più bello!
Alla faccia di Bossi, il Senatùr,
c’era ad Augusta un villaggio Valtùr,
dove, qual fiore all’occhiello,
lungi da fama lavoravi tu… Fiorello!
A tutti ti mostravi felice e contento,
animatore sì, ma di gran talento,
tanto amato dal vacanziere polentone,
che si guardava dal chiamarti terrone.
A godersi il sole un dì venne Cecchetto
e per te fu l’inizio di mirabolante progetto:
ti si aprirono le porte del paradiso,
ma fu tutto merito del tuo gioviale sorriso.
Né sole né mare trovasti a Milano,
ma fosti meglio di un allaccio al metano,
con quella diabolica invenzione del Karaoke,
facesti cantare tutti… orsi e foche!
Per un bel po’ lenisti l’italico calvario,
caro… brillante… simpatico Rosario
capace di oscurare perfino il T.G. delle venti,
che parla sempre di tasse… tangenti e incidenti!
Da Milano ad Augusta tutti lodarono tua bravura,
dono di mamma Sara, papà Nicola e madre natura,
che vedendo nel tuo arrivo un evento straordinario,
ritennero doveroso chiamarti… Rosario!
Sulle ali del successo colto a piene mani,
da buon siculo pensasti subito al domani,
tanto che, correndo tra piazze e palchi,
fulminasti quella bonazza di Anna Falchi.
Con lei toccasti il paradiso senza troppa fatica
e assaporasti i piaceri della focosa amica,
che al settimo cielo portò la tua virilità,
facendo salire pure la mordente notorietà.
Quando capisti che vivere è un parapiglia,
non pensasti più a metter su famiglia,
anzi, ritornasti al tuo modo di fare:
divertire la gente… cantare e ballare.
Pure da San Remo fosti conquistato
e il tuo successo fu subito annunciato,
ma pagasti lo scotto di troppa pubblicità,
che per un po’ oscurò la tua versatilità.
Allora impugnasti lo spazzolino da denti
e ritornasti a farci tutti felici e contenti,
ma bontà sua il signor Costanzo
ti affidò Buona Domenica all’ora di pranzo.
L’ incontro con Lippi e la Barale,
di certo non fu occasionale,
divenne tuo amico pure il Morselli,
tanto che sembravate tutti fratelli.
Il meglio del tuo repertorio venne subito fuori
ed ogni Domenica accendesti gl’italici cuori,
diventando finalmente un vero divo
più dell’ Etna nostro… caldo ed esplosivo!
Un professore per te non aveva simpatia
sol perché mai imparasti quella poesia,
ma tu San Martino gliela trasformasti
e a mo’ di canzone gliela dedicasti.
D’essere falso nel cantare non hai bisogno,
ormai sei bravo da Augusta a Cologno,
poco sei cambiato dentro, caro Fiorello,
per me sempre Saro… un altro fratello!
Dopo tanto girovagare intorno al mondo,
t’imbattesti nell’architettonica Susanna Biondo,
che tosta pare, non floscia come panna,
per te piovuta dal cielo… qual divina manna!
Con lei ti credi d’essere più vicino a Dio,
ma sappi che stasera paghi tu… non io,
ecco perché sono venuto a trovarti
e allo stesso tempo anche a lodarti.
Con un abbraccio di stima e simpatia,
ti dedico questa ode che sa di Poesia,
in te e nella tua esuberante gioventù,
rivedo parte di me che non ho più.
Credimi, son felice e son contento,
averti per amico è un dolce tormento,
con te vorrei cantare “un mondo d’amore”,
per augurare a tutti un futuro migliore.
Augusta - settembre '94
DIO! DOVE SEI TU?
“ Dio!... o Dio! ”
Imprecazione, spesso,
esclamazione, a volte,
dettate da gioia o dolore,
disperazione o rabbia,
raramente per amore.
Ed io, o Dio,
che in te più non credo,
mi chiedo come mai,
col nome tuo, posso scrivere:
parrici… Dio, fratrici... Dio, matrici… Dio,
uxorici… Dio, infantici… Dio, stillici… Dio,
omici… Dio, suici… Dio, o… Dio.
Come vedi, o Dio,
sei in tutte queste parole,
eppure, non creasti tu, l’Uomo?
Non lo modellasti
a tua immagine e somiglianza?
E allora,
perché lo lasciasti solo
in questa valle di lacrime?
Tu sei onnisciente,
onnipresente e onniveggente,
e ciò malgrado
gli consentisti di uccidere.
Fra noi due,
chi sbaglia di più,
eccelso Dio… o povero Gesù?
Hai visto quante infamità
compie la tua creatura
in nome di Pace e Libertà?
Puoi chiamarla bontà
la scelta fatta a suo tempo?
E vedesti pure il malvagio (?) Caino
uccidere il mite (?) Abele,
ignorando che dovevi cambiare,
dell’Uomo e del suo cammino,
il corso del Destino.
E invece lasciasti che tutto accadesse
e si ripetesse nei secoli dei secoli,
qual Dio di vendetta, non d’amore!
Io non ti odio per questo, o Dio,
né ti amo per altro, o Gesù,
ma ti supplico:
prendimi per mano
e conducimi sulla retta via!
Stai pur certo, o Dio,
che non ti metterò in Croce, io:
se il tuo volermi bene
fu un errore d’amore,
grave peccato è questo mio vivere.
Dio! Dove sei… o Dio?
Perché non mostri a noi,
ciechi e stolti figli tuoi
chi veramente tu sei?
Perché sì confuso
mi hai creato?
Indicami la via,
debella la mia malattia!
VERSO LA LUCE
La tua voce, Signore,
mi par di sentire,
ma il tuo volto
non riesco a vedere;
le tue parole, Signore,
credo di udire,
ma non le recepisco,
non le capisco.
Tu, invece,
pur vedendomi,
fingi di non sentire.
Che aspetti a mostrarti?
Non hai pietà
della mia disperazione?
Ti diverte così tanto
vedermi affogare
nel mio mare d’illusioni?
Ascoltami, o Signore,
finché ce n’ è il tempo.
Ho perso il lume della ragione
e perfino la pace, mio Signore,
dalla notte in cui Tu,
qual spirito fugace,
mostrasti la tua essenza
ma mi negasti reale presenza.
Dimmi, Padre celeste:
perché non ti vedo?