Il mio sito

Pina Licciardello

Il sito in tutte le lingue

 I Video che ho dedicato alla mia Terra e alla mia Città

 

 

DUCI TERRA MIA!

CATANIA FOREVER

CATANIA BY NIGHT

CATANIA COM'ERA

          CATANIA SPARITA

     I QUARTIERI DI CATANIA 

        LE SPIAGGE PIU' BELLE

                DI CATANIA

GLI SCORCI PIU' BELLI

DELLA MIA SICILIA

        SICILIA: LA MIA TERRA

          PERLE DI SICILIA

CITTA' DELLA SICILIA

GIRO DELL'ETNA

dai "Ricordi di un viaggio in Sicilia" di Edmondo De Amicis

JEAN HOUEL

Un francese in Sicilia

ANDERSEN in SICILIA

L'Etna vista da Andersen

dai "Ricordi di un viaggio in Sicilia" 

Il contenuto di Google Maps non è mostrato a causa delle attuali impostazioni dei tuoi cookie. Clicca sull' informativa sui cookie (cookie funzionali) per accettare la policy sui cookie di Google Maps e visualizzare il contenuto. Per maggiori informazioni, puoi consultare la dichiarazione sulla privacy di Google Maps.

CONTATTI

Nota: I campi con l'asterisco sono richiesti

"Pasticcio di colori"

Poesie italiane

di Pippo Nasca

 

                                                                                    

 

PREMESSA DELL’AUTORE

 

   Questo zibaldone di poesie, è stato scritto  in parte nella seconda metà del 2019 ed il resto nell’ anno 2020 e nella prima metà del 2021, in pieno svolgimento della pandemia del covid-19 ancora in atto. Gli argomenti sono vari e rispecchiano cronologicamente i miei stati d’animo e le peripezie vissute in questi anni. E’ possible notare che le prime poesie, scritte nel 2019,  non risentono l’ambascia che pesa nelle successive come un velo, anzi una coltre,  di mestizia e di incertezze esistenziali Questo traghettamento da un mondo sereno ed abituale ad un altro che appare come un precipizio spalancato sul burrone dell’incerto, si nota in maniera evidente anche se un barlume di speranza talvolta appare all’orizzonte.

    In verità ho dato alle stampe queste poesie, sicuro che ormai il peggio fosse passato e che tutto stesse per ritornare alla normalità del solito vivere nell’alterna sorte che la natura ci impone.

L’ultima poesia in nota, “Il mare”, altro non è che la immaginaria parodia della vita, che rientra nei canoni previsti con il ricordare l’alternarsi costante del sereno e del turbolento, caratteristici delle onde marine. Mi ero, infatti illuso che la pandemia stesse per terminare con l’entrata in campo del vaccino anti-coronavirus. Non avevo previsto le variazioni  del contagio. Del resto, non sono un virologo, ma sopratutto non mi aspettavo  che qualcuno si opponesse alla vaccinazione in maniera così eclatante e nemmeno che qualcuno cercasse di trarne vantaggio propagandistico elettorale, sfruttando l’ansia di persone paurose, tirando in ballo anche falsi concetti  di libertà e di sanità.

Per questo motivo alla presente premessa, che ho scritto postuma su richiesta dell’editore,  aggiungo quest’altra mia riflessione poetica in merito con l’intento di non voler mai più ricordare gli eventi riguardanti questo periodo criticando, però, apertamente l’operato dei falsi predicatori.

 

 

L’ombra riluce di mendaci detti

sul viso  adorno di tappato muso,

che espresso mai non furo così gretti

sul vivere civile già deluso

dalle scemenze alate di concetti

che l’ansioso rimescola confuso.

Non basta solo l’uso del tampone;

necessita il vaccino alle persone.

 

Mi sembra assurdo l’affrontare lotte,

inalberar stentardi contro senso

e non credere estinta notte

 

                                                  

 

 

Ringraziamento e riconoscenza

 

 

Guardare e valutare quant’ è detto

da chi lo studio svolge e s’affatica

a mostrare l‘umano alto concetto

della vita moderna e quella antica,

 

è vivere sereno nel rispetto

del suo pensiero e della voce amica.

Se poi in quello studio v’è  l’oggetto

di qualche nostra rima più sentita,

 

mi sembra più che giusto ringraziare

la gentilezza che ci fu donata

nell’ospitarci  e tosto avvalorare

 

l’opra nuda e modesta scribacchiata.

Ed allora perché non ricambiare

la gentilezza che ci fu mostrata?

 

 

 

 

 

 

       Antica storia.

 

    Se veri sono i fatti raccontati

da Rendina , da Belli e da Pasquino,

pure grandi gli amori sono stati

d’un vecchio Papa, ch’era birichino.

 

    Vi parlo d’un Farnese tra i prelati

che consacrando in chiesa pane e vino

beveva di straforo del Frascati

nel  Vaticano in vena di festino.

 

     Lola, Costanza e Margarita Orsini

Il letto gli scaldaro finché visse

e pare che palazzo Rondanini,

 

     donasse, come poi la fama disse,

a Silvia amata, sposa d’un Ruffini

e … Giulia  pure sembra concupisse.

                             

 

                             

 

 

 

 

 

Cose di casa nostra.

 

Sul bianco cono dalla base estesa

alta si leva gongolante in cielo

una  nuvola nera e sembra tesa

a ricoprir  l’azzurro con un velo

 

Alla sua base, di rossore obesa,

un rilucente ed infuocato stelo

con essa rugge e mostra la pretesa

d’essere viva luce di candelo.

 

Un improvviso e cupo rimbombare

di tuoni ne fu chiaro il nunzio solo

e di  nero si vide scombinare

 

il rosso, il verde ed il bianco suolo.

Necessitò, pertanto, cancellare

degli apparecchi totalmente il volo.

 

Ma resteranno infine i tre colori,

a risplendere al sole, strepitosi

sulla montagna che non ha rancori

 

 

 

 

 

 

L’uragano                                                                  

 

Colonne dense

montano  nel cielo

di fuoco proiettate

all’infinito.

e  nero fumo

nella notte  spenge

la luce delle stelle 

sbalordite

mentre a dormir ritorna

il mostro  ardito

che l’uragano

risvegliò per via

lasciando  estinte

vorticose nubi

di rosso crepitanti

e nero attorno

la furia tace 

Versa   la natura

le lacrime  scomposte

dal passaggio

e lascia in terra  i segni

dell’orrore

Non resta che guardare 

intorno assorti

la  colorata stasi

dell’ambascie

 

La fuga dell’uccello                                                                              

 

Sfiorò l’uccello dalla cresta d’oro,

che  più corona  rubiconda pare,

l’orlo del nido ascoso nel cespuglio,

la gioia pregustando del calore,

d’amore intriso, nell’amena attesa.

Volò superbo su montagne e valli

il soffio pregustando  della brezza,

che pampine spostava  svolazzanti,

e quando il collo immerse nel fogliame

indietro lo ritrasse  stupefatto

ché parve brutto quello che vedeva.

Trovò quell nido disadorno e rude

e saltellando ritornò a volare.

Il non trovar giulivo l’abitare,

l’uccello come niente fa scappare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In morte di Giovanni Cavallaro                           

 

    Addio Giovanni, che t’accingi al passo

del solito destino imposto all’uomo

dall’eterna  divina volontà.

    Ora  ti vedo risalire in alto,

lassù nel cielo tra le nubi bianche

che piangono per te stillanti lacrime

e non compare la speranza infine

di ritornare indietro  dal percorso,

come quando per strada ti muovevi

lesto e sicuro nel tornare  a casa,

percorrendo la strada con ardore.

    Per la  partenza del tuo treno mesto

spense la primavera il suo sorriso

in segno  di rispetto e di dolore

e si nascose il sole a lei d’accordo

per mescolar la pena dell’addio.

    Di te non scorderò l’allegro tono

dei versi dialettali che sfornavi

di personaggi nostri popolari,

il riso suscitando in chi sentiva

e tu gesticolando rispondevi,

citando un’ altro  detto con candore.

    “Tinitimi - dicevi – ma s’annunca

nun sacciu ‘ns’occu dicu e ‘ns’occu fazzu.

Tinitimi, ca sugnu tuttu pazzu.”

Mentre così gridavi  con le mani

tracciavi brutti gesti  a più non posso.

      Ritorneranno un giorno i nostri morti

e tu con loro? Non lo credo certo,

ma di sicuro presto anch’io verrò

a calpestar con te le nubi bianche

e con te di certo parlerò di cose

che furono comuni e più non sono,

del nostro lavorare con i treni,

oppure ricordare i versi allegri

del Tempio, di Martoglio  o di Borrello.

     Addio Giovanni , amico e mio compagno

di lavoro che fu di certo grave

ma pieno di gioioso cinguettare.

Lieve ti sia la terra che ti copre.

 

                        

 

                                     Noi e l montagna

 

Lungo la strada

che scemando sale

                                                        nel biancheggiar

                                                        di soporose nubi

un mare ondeggia

di ginestre gialle

che il vento le sospinge

e le accarezza

tra rocce nere

di licheni onuste.

Adesso andiamo

comodi seduti

ed il silenzio

di montagna rompe

il ruggito stridente

del motore.

Un tempo

tra le rupi ed il sentiero

che bordeggiando

le sfiorava appena,

ansante percorrevo

questa via,

armato

di scarponi e di bastone.

La cima m’attendeva

del vulcano

l’odore le narici

mi colpiva

ed il silenzio intorno

mi sfiorava

mentre  salivo

e mi parea leggero

il passo che era

faticoso e greve.

Andavo a piedi

e mi sentivo forte.

Adesso

corro assiso come un re

ma privo di corona

e senza corte

e forza mi sostiene

che non c’è

Un dì veloce

qui verrò volando

e privo

di pensieri e di sudore.

col vento correrò

su queste balze

e d’oro

sembreranno le ginestre

nello splendor del sole

che le bacia

mentre nel cuore delle rocce

altrove

cavo e silente

entrambi

a valle  un fiore ascoltano

cantare litanie

sotto una croce

che sovrasta  amica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le ritrovate  foglie                                                       

 

Albero privo  delle  morte foglie,

nell’aria sparse di color turchese,

cui non più nidi la corolla accoglie

sui rami di speranze disattese,

 

il vento  veste  tue nodose spoglie

di nubi,  che nel cielo le  sospese

rubando i tuoi malanni e le tue voglie,

di  ritrovate  foglie al sole  appese.

 

Di bianchi sogni rivestito a nuovo

rifulge di speranze  e di candore

il tuo sembiante che pareva  rovo.

 

La nube che ti cinge di splendore

rivela ardenti sogni e mi ritrovo

sommerso dolcemente di stupore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Matematica in versi                                                               

 

Equazionando punti su quadranti

di  rette ortogonali disegnate

avanzano le curve rotondanti

e son diversamente nominate.

Seguendo le matite itineranti,

parabole ed iperboli segnate,

son miste ad incognite acclamanti

ellissi con due centri controllate.

 

Ma d’improvviso un refolo cerchiando,

con centro nell’incrocio delle rette

e con i  raggi gli archi accarezzando

tangenti e cotangenti il cerchio stette.

Di poi sopra gli angoli giocando

anche seni e coseni ad esso annette

e, come niente, ancor triangolando

ne nacquero le formule perfette

 

del seno su coseno ugual tangente.

Ma non pensar che furono i ladroni

a darle il nome nuovo cotangente.

Io sto parlando di quell’equazione

di matematica pura e latente

su cerchi, raggi , rette in proporzione

e misura dell’angolo patente

con essi  rapportati in relazione.

 

La sabbia in fuga                                                    

 

Col vento sabbia turbina

tra nubi là, nel cielo,

scavalcando torbida

del mar l’ondose rive.

 

Cancella le memorie

di stelle  ammaliatrici

e l’aria priva, perfida,

di luce che già fu.

 

Sulle ginestre roride

del pianto della notte

si posa lenta e lacrima

qual polvere spavalda

 

nelle contrade magiche

del siculo vulcano

e sopra I tetti rustici

cancella pure il rosso,

 

che già adornava classico

Il vecchio casolare.

Torva da terra libica

sembra fuggir lontano

 

la polvere desertica

che rischia di cadere

nel mare sitibondo,

precipitando in fondo.

 

Anche le genti pavide

fuggon da  spari e bombe

per non restare vittime

di guerre fratricide;

 

ma, come sabbia attingere

l’aiuto non potendo

di voli non possibili,

su fatiscenti barche

 

al mare rude affidano

la vita e la speranza

di ritornare a vivere

in luoghi più sereni.

 

Del vento l’urto perfido,

che l’onda tiranneggia,

non lascia scampo al misero,

cui d’annegar non resta

 

e sabbia sola in turbine

arriva sopra I monti

e sulle strade viscide

di fango e brina insieme,

 

mentre le  spiagge gridano

invase dall’orrore

di quanti morti giunsero

dal mare tempestoso.

 

E se spogliato e misero

qualcuno giunse vivo

negar si vede povero

amore ed accoglienza,

 

perché comporta spendere,

a chi potendo deve,

denaro e spesa provvida

per consolar gli inermi.

 

In questo mondo perfido

non vige amor fraterno

e ciò che vien negato

non lece e non consola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Primavera 2019

 

Sulle corolle roride

di fiori che son nati,

sopra i corimbi penduli

del glicine fiorito,

sulle gemmate primule

dei prati verdeggianti

cadon dal cielo lacrime

di nuvole ammassate

dal vento reso morbido

e ticchettando dolce

all’orizzonte timida

s’affaccia primavera

che scompare tremula

temendo di perire

nel gorgo ancora torbido

del già passato inverno.

Il vorticar di nuvole

la tiene ancor lontana

e ricompare vivido

nel caminetto il fuoco

e già m’appare stolido

quel clima che m’ avvolge.

 

 

 

 

 

L’Etna ed il Falco                                               

 

    Scivolerò volando  sui tuoi fianchi

e colmerò di morsi le tue rocce.

La neve scioglierò dalle tue fronde

che ricoprì di bianco le tue foglie.

Ti inonderò con tutte le canzoni

che mute se ne stanno nel mio cuore

e sorridendo accoglierai fremente

il mio piombare intrepido sul seno

felice di sentire le carezze

del mio piumaggio grigio  che ti sfiora.

Io son d’uccelli un elevato sire

che, scorazzando in cielo vado sempre,

con l’occhio vivo e l’altro riparato,

dopo la guerra con l’infame Dio,

che mai mi vinse nell’immane lotta.

    Figlio diletto di sovrani Dei

nel tuo stupendo corpo accedo e godo

di tua bellezza e d’ogni tua vaghezza

perché d’averti  sempre ignuda  agogno

nel letto privo di fogliame ed erbe.

Dentro le ludiche caverne afose

la sete della carne che caldeggi

e del sangue che liquido ti rugge

estinguerò  planando sitibondo 

e mai non sia che tu non resti priva

d’antiche, care  e mitiche leggende

che dette impulso e lustro al tuo splendore.

    Tu dea perenne dal perenne calice

che fumigando mostri la tua forza

e dentro ti ribolle senza pace,

se ruvido mi doni ardito nido

tra rocce glabre dal brutale aspetto,

cessar non devi di curar le selve

e loro afflusso d’animali ingrati

che nutrimento son della mia vita.

Temer non devi del mio becco il morso

né degli artigli l’estro mio rapace

sulle tue rocce di durezza estrema

che solo  intacca la crudele mano  

dello scalpello armata e delle bombe.

Anch’io lo temo per veleno sparso

sulle frondose piante e nelle terre

dove la morte rugge e tutto annienta.

    Finché d’eterna luce cingerà la terra

Il sole, che t’inonda e dona a me

la libertà  del volo e della vita,

non lascerò le balze e le colline

del tuo roccioso manto e del tuo cuore

e possa sempre la natura amica

mostrare nude le tue forme arcane

per mio diletto e chi t’ammira e bacia.

 

 

 

 

SCIVOLA

 

Scivola,

nella discesa scivola

sul piano indenne scivola

correndo non s’arresta

ma risalir non sa

la palla

che fu colpita invano.

verso la cima volta

a contemplar le stelle.

Così precipitando

rotola

nel fondo della valle

nel fango che sommerge

nel mare che l’accoglie

nel nulla che l’avvolge.

 

 

 

Pasticcio di colori 

 

E’ con le dita intrise di colore

che visitando vado senza posa

le risplendenti stelle della notte.

Ali spezzate d’angeli caduti,

nel firmamento vagano scomposte

tra stella e stella vagamente appese

a fili che risplendono d’argento,

e nuvole d’agnelli biancheggianti

a schiere pascolanti  l’aria muta

campeggiano tra prati d’infinito.

La luna al centro tondeggiante ride

Immobile spavalda  di candore

Illuminando tutto quanto vede.

Nel mio volare con la fantasia

le mani stendo su quel paradiso

e d’improvviso tutto tocco e tingo.

Le stelle sono rosa ed altre nere,

le nubi sono bianche  a macchie blu,

si tingono di grigio I pezzi d’ala

e di rosso  bordeggiano gli agnelli.

La luna appare macchiettata e stride

tra scarabocchi opachi e fili neri

Mi sveglio d’improvviso e son stupito

che tutto è ritornato come prima

 

 

 

Io fiammeggiante sole

e tu candida luna.

 

      Noi due, da siti opposti progredendo

sulle  nubi del cielo evanescente,

di luce inonderemo nell’abbraccio

la terra che ci vede già sognare.

     Albe e tramonti insieme guarderemo

di  luce dipingendo notti e giorni

che sembrano fiorire

vedendoci baciare in quell’istante

che la vita ti cingo  con  calore

e tu nel sogno piombi luminoso

tra le mie braccia stese all’infinito.

    Io, che custode sono del tuo sogno,

ora  di baci ricoprendo vado

le tue candide gote

e le ricopro d’iridati sogni

e tu, pure, del velo  della notte

m’avvolgerai di stelle risplendenti,

coprendomi di sogni e di passione.

    Noi due vivremo ad ogni bacio dato

nell’intimo contatto d’un abbraccio

e fugheremo nubi di dolore

apparse all’orizzonte

e con I baci d’amoroso affetto

rugiada stilleremo sopra I fiori

e boccioli di rose schiuderemo

scolpendo con la luce la natura

e spazzeremo I venti turbolenti

dal cielo reso terso

dal nostro amor che grida all’infinito

e pace sentiremo a noi d’intorno

finché nel mondo insieme danzeremo

all’alba  ed alla sera, non più nera,

ma di sogni  cosparsa e di splendore.

 

 

La scienza e le stele

 

    E’ stato dimostrato chiaramente

che tappeto non è di stelle fisse

la volta che la terra tutta cinge.

Copernico lo disse e pure il Vinci

che ruotano I pianeti intorno al sole,

facente parte, insieme ad altre stelle,

d’ una vagante schiera d’astri in moto,

cui nome venne dato di galassia.

Sono infinite le galassie in cielo

che corrono tra loro senza posa

e, quindi. pure il sole non è fisso

    Se pulsa l’universo  e tutto freme

di stelle ed astri sempre in movimento

che d’una parte vanno ad altro sito,

mi pare che non regga la certezza

di zodiacali fati paralleli,

che segnano destini similari.

Ignorano le stelle di sapere

amore e vita, parità d’intenti

e tutto quanto viene predicato

da chi ignoranza sfrutta della gente,

costellazioni e segni rivestendo

di predizioni conturbanti e certe.

Determina la vita solamente

Il sole con la luce che consente

la clorofilla nelle foglie verdi

e la luna consente alle maree

il solo sollevarsi appena in mare.

Le rimanenti stelle ed astri tutti

non hanno riconoscimento alcuno

d’altro potere occulto sulla Terra,

che quello d’apparire e far sognare.

 

 

 

Ad Anna Manna                                        I

 

Donna m’apparve di superbo ciglio

sul quadro tremolante dello Smart,

tinta le gote d’ abbelliti unguenti

ed esaltante il labbro d’un colore

che l’anima ti scalda e ti risveglia

dal sopito tepore del sentire.

Giammai non tacque le mia mente sveglia

ed il mio dire in versi la bellezza

di cotanto apparire su quel quadro,

che non fu mai così loquace e svelto

e, tanto di calore onusto e tosto,

da scomparire, subito riflesso

d’immagini vogliose d’apparire.

Il tasto spinsi col mio dito sciolto

e ricomparve quel superbo aspetto.

La mente vola là, sul Palatino,

e traballare sento in petto il cuore

che fa le bizze e già rimbomba lesto

sul  martelletto dell’orecchio sordo

che muto fino allora se ne stava.

Miracolo mi fece quella vista

perché  l’orecchio ritornò a sentire

e sembra pure che la vista goda

nell’ammirare il volto bello e grato,

che  non è solo frutto di bravura

dell’uomo che riprese quanto vedo.

T’abbraccio e ti saluto con affetto.

 

 

Pellegrino in cielo                                                

 

Novello Astolfo sul grifone alato

volando incontro al rosso dell’occaso

le stelle vidi splendere nel cielo

e la luna sorridere serena.

Di sotto, il mare rispecchiava pura

la volta che solcavo con ardore.

Il dito intinsi nel color del sole

e le tue labbra pinsi di quel rosso,

due stelle colsi risplendenti pure

e sul tuo caro viso le deposi

e con le mani di candore piene

il viso colorato di pallore

m’apparve troppo mestamente bianco.

Allor col dito, leggermente rosso,

lo tinsi appena e fu  di rosa aprico

il quadro, che m’ apparve sotto gli occhi.

Raggiunsi infine la magione attesa

e fui felice d’esserti d’accanto.

Volò lontano il libero grifone

mentre t’accolsi tra le braccia avvinte

e tu, fremendo d’amoroso impulso,

al cuore mi stringesti e mi baciastii.

Ti vidi, tosto, pasticciarmi il corpo

di colorati segni d’ogni tipo

e strisce e macchie  addosso mi sentii

e penetrar nell’anima il sentire

d’un cuore  che batteva  ed era caro.

Un quadro mi sembravo di Van Ghog

o forse Modigliani, oppur Manet,

oppur Corot od altro macchiettista …

Ma no, che quadro non sembravo in vero

d’aspetto  definito e certa forma,

ma solamente di color cosparso

in ogni dove del mio corpo tinto,

un quadro di superbe apparizioni,

di colorate emblemi e segni strani,

una tempesta d’arlecchini in posa,

che corrono ed inseguono colori …

Un quadro certamente mi sentivo

d’improvvisata ispirazione e forma

che tu mi dipingevi con le mani

e l’anima toccavi in ogni dove

insieme al corpo pure che fremeva

e pure tu di  colorato aspetto

al quadro t’aggiungevi ed eri bella.

Finito il sogno mistico suadente

mi son trovato di sudore asperso

nel caldo avvolto della notte insonne.

Però bellezza, cielo e fantasia

un sogno m’hanno dato di poesia

con te vissuto bello in armonia.

 

 

La gara                                                

 

Il rito è già concluso

sull’ ara di Cupido

e cominciò la corsa

tra  semi risoluta

per giungere al traguardo

di vita conquistata.

Chi più veloce corre

avrà raggiunto il sito

che serra dal di dentro.

Soltanto in questo agone

non vige la pietà,

che dopo al mondo lece

serenamente avere.

E’ sorda la natura

al grido di salvezza

in questo stato amorfo,

ma non l’ignora certo

l’umanità che vive.

 

 

Guardando un quadro                                

Di Van Gogh

 

   Il sole ancora tiepido

ascolta trasognato

un cinguettante tremito

nell’ora del tramonto

dell’anima che spigola

sul campo tutto d’oro

Mi sembra nera  rondine

che vola ancor vogliosa

e girellando tremula

al nido già s’accosta,

che segni infine il termine

del suo vagare incerto.

Nella speranza  fervida

il cielo accoglie muto

il saettare labile

del lampo che le mostra

un sito irragiungibile.

Convien che giri ancora

nell’incertezza torbida

finché di sede spunti

un punto  meno tremulo,

ma fugge invano l’ora

dello splendore mitico

nel cielo ormai velato.

 

 

Purtroppo …

                                                                                  

 

Mentre  d’ attorno il ghiaccio mi sommerse,

emettendo bagliori di freddezza,

a galoppar m’accinsi con ardore

le strade già percorse d’infinito

verso quel punto, dove luce  splende

di vivida passione e di calore.

Nel luccicar di stelle e fantasia,

alto un nitrito si levò nel cielo

ed io sbalzato dalla sella caddi

sopra il fiorito letto dell’attesa.

Braccia aperte m’accolsero felici

e labbra a labbra fuse con furore

dischiusero la strada dell’amore.

Fuggiva spaventato tra le nubi

alato quel cavallo galoppante

che mi lasciò felice in tale posa

ed io rimasi muto all’improvviso

perché cessò la luce della mente

e solo mi trovai nel mio letto.

 

 Omaggio  a  Camilleri

 

 

Sopra quel mare che di luce brilla

del cielo azzurro, che riflette il sole,

di te superba emerge la scintilla

del tuo narrare la superba mole

 

d’amtichi fatti che Sicilia assilla.

Lo schermo narra con le tue parole

le ripetute voci a stilla a stilla

del siculo parlare e nuove fole

 

del variegato vivere contrito

di gente obesa d’un passato vivo.

Ed or, che tu ci mostri col tuo dito

 

quanto di bello esiste e non è privo

di sentimento ed onorato mito,

della Sicilia resti un nuovo divo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Autoritratto

 

Riflettono l’azzurro

gli occhi miei

come quando ragazzo

li mostravo

e sgambettar solevo

per la via.

E’ cosa nuova

il bianco dei capelli,

che di castagno

avevano colore

Il viso mostra tremulo

il sorriso

che spensi allora,

molte volte assorto

in gravidi problemi

d’esistenza.

Il cuor rimasto ancora

come prima

acceso di passione,

scrigno resta

d’affetti andati

e di stupendi sogni.

Or la memoria serba

nella mente

ricordi belli,

ma dolori antichi

che cinsero di nero

il mio sentire.

Onesto il ciglio

di superbo aspetto

giammai si chiuse

per vergogna al mondo

e se già vinto

s’abassò modesto

rifulse tosto

di novello ardore

finché non vide

l’agognata vetta.

Supino adesso giace

il mio volere

e più non strilla

di vittorie il canto

perché disio di pace

e non più guerra

il cuore mi si strugge

d’ascoltare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spunti d’orgoglio

 

Spunti d’orgoglio su placate labbra

trasformano d’incenso le parole

in appuntite spade per colpire

chi decretare vuole il danno altrui

e rabbia che nell’anima s’annida

emerge travolgente in modo forte

a mescolar veleni con dolcezza.

Indorano le labbra un pio sorriso

ma covano nel cuore le vendette.

Amore sempre con amor si paga,

ma l’odio pure  rivangare vuole

quanto di brutto al sole venne steso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ascolta il mio gridare

 

Tu, che tingesti allora

i tuoi capelli neri,

che adesso mostri grigi

col bianco della neve,

d’azzurro ti copristi

un tempo col mio sguardo

ed il mantello ancor

ti cinge e ti riscalda,

se nell’oblio rimescoli

pensieri d’altri tempi

ormai rifusi e muti,

ascolta il mio gridare

inverecondo e triste:

adesso ancor di più

ti cinge l’amor mio

e brucia del dolore

che dici di sentire

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Malinconica nostalgia                                    

 

Tu, che sereno il viso

adombri  d’anni sparsi,

dolce  al mio sguardo mostra

l’immagine sublime

che maschera di velo

le tue stupende gambe

ed il voglioso seno.

Li bacerò da lungi

avvoltti nell’alone

di scintillanti stelle

e rinverdir vedrò

i tuoi capelli grigi

d’argento e di splendore.

 

 

L’ombra del futuro

 

Lontano il canto

risalì per via

degli angeli

sperduti nel deserto

di ripercorse strade

ormai rupestri

e risuonò

la dolce melodia

d’incanti e di parole

al vento sparse

senza rimpianti

di perduta pace

Stupendo apparve

caloroso e terso

il desco colorato

del futuro

di cibi adorno

e di sapori nuovi

sul tavolo

d’azzurro bordeggiato

con teglie d’oro

ed argentate brocche.

Il tempo è ritornato

di sperare

anche se nube

l’orizzonte copre

e mesce il vento

piccole folate

sul monte che borbotta

e fiamme mostra

d’intenso rosso

nel chiaror lunare.

Necessita godere

quest’istante

di pace e di bontà

che sorridendo

in cielo monta

e solamente attende

di spegnersi repente

con la stasi

un vero paradiso

di bontà.

 

Presunzione

 

Cadevano piangendo nella notte

i sogni scintillanti dell’oblio;

mostrava il cielo le vetuste lotte

di stelle che disperse nel pendio

correvano lucenti già ridotte

nell’infinito afflato  verso Dio.

Muti seguendo queste loro rotte

i sogni miei prendevano l’avvio

precipitando inermi nel profondo

di storie antiche veleggianti nere

sull’orlo del ricordo  del mio mondo.

Comparvero di volti antiche cere

spalmate nel rilievo dello sfondo

che furono feroci al par di fiere,

ma loro aspetto diventò secondo

disciolto come fiamma nel braciere.

A me non resta che guardare in alto

le nubi macchiettate di candore

ed ammirare il balenar di smalto

di stelle luccicanti di splendore,

oppur lo sguardo volto nell’asfalto

rimembrare le scene del dolore,

oppur  come osare con un salto

sedermi in trono al posto del Signore!

 

 

 

Pensando a Te …

 

Io

quel cuscino

tra le gambe stretto

sembiante sono

d’agognati amplessi

almanaccando

briciole di stelle

che vagano

nel cielo vellutato

e tingono di sogni

le tue notti.

Rubello il pianto

del tuo ciglio accende

la lacrima

che gronda sul tuo viso

e l’anima

di ninnoli s’adorna

caparbiamente

stesi sulla tela.

Il bianco

si cosparge di colori

che brulicando vanno

pellegrini

ed è la luce

che la scena infiamma

e tace derelitta

di sognare.

La notte allora

non più nera

brilla

e l’estro presta l’alba

vagabonda

del giorno che compare

ed è di festa

o forse di dolore

ormai represso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Versi colorati

 

Ho coniugato versi strampalati

con colorate chiazze di pensieri

sul bianco piano della tela stese

e fiumi di parole tra le pietre

aguzze del non so e dell’inconscio

son scivolate limpide e lucenti.

Annaspano le mani variopinte

nel cumulo  d’azzurro e di rosato

ed anche i piedi spremono colori

a grappoli disposti nel tinello

I fumi ascolto gorgoglianti e vari

dal fondo risalire in alto dolci

e perdersi nel cielo del sentire.

Assumono l’aspetto d’una Dea

che di ramingo navigare paga

a Cipro il corpo nudo cinse opimo

ed esaltò di Grazie la sua fama.

Di Venere m’aspetto di vedere

tra queste informi chiazze di colore

il tuo sembiante onusto del candore

che vivido compare nella schiuma

dell’onda capricciosa e saltellante.

Allor di gioia squillino le trombe

e l’aria tutta di piacer s’inebri

nel vago comparire delle nubi

vestite di parole in versi sciolt

 

 

 

A Mario Narducci

leggendo una sua poesia

 

 

Leggendo questi versi,

scoiattolar ti vedo

sulle ramaglie spoglie

delle memorie antiche,

laddove il picchio tarla

dei tronchi le corteccie,

assorto nei ricordi

che rendono festoso

il tuo giocar con Lei

tra le cadute foglie

e te, muto pregare,

felice di vederla

il prato calpestare

d’ataviche emozioni

a te soltanto note

e la mancanza sale

nel cielo con amore.

 

 

Al vento scrivo

 

Al vento scrivo

 le mie fole insulse.

Di cima in cima  

volano scomposte

su  monti  immacolati

mai raggiunti

lasciando dietro

sciami di ricordi

e sento a me d’intorno

quel brusio

che suscita emozioni

in chi li legge.

Non sempre il tempo

ticordar le fa

sperdute

tra le foglie petulanti

che rimbalzando 

vanno a mulinello

nel gorgo

di veraci seduzioni

ma sento

che nel mondo vi sarà

chi  rincorrendo

 nuvole rimosse

le coglierà leggere

nel deserto più deserto

e leggerle vorrà.

Di ciò m’illudo

e di speranza vivo

d’aver solcato

l’ombra dei ricordi

la  luce ricalcando

del sognare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fantasie d’inverno

 

    Tra l’innevate balze di montagna

e rustiche cassette ammonticchiate

al campanile aguzzo in ciel inciso,

ascolto il canto spumeggiare ancora

dal tuo verseggiare ridondante,

e dietro i vetri scorgo il tuo bel viso

rimirar la neve ed anche i lupi,

avvolto nella cuffia d’altri tempi

donde sfugge un ricciolo dorato,.

le favole illustrando ormai sopite

d’antiche voglie di bambina adulta.

    La neve fiocca e tu ballando vai

pantofole di sogni ricalzando

e vedi lupi dall’umano aspetto

rimbalzare tra cumuli di neve

ed apparire pieni di candore

col muso fumigante di calore

Il tuo ballare d’innocente impulso

con quello si confonde spaventoso

di belve dietro l’uscio nell’attesa

d’eventi a lor fatali e favolosi

grignando di rapina la speranza.

     Attenta al lupo fanciullesca donna,

che saltellar coi lupi tra la neve

di pace ti deruba il cuore puro

e ciò che par romantico e  stupendo

la trappola diventa cincischiante

di pene spaventose senza fine.

Il lupo affonda le sue zanne aguzze

senza ritegno e remora veruna

sulle tue carni bianche di gazella,

anche se gridi di volergli bene,

come fece ai suoi tempi San Francesco,

d’amarlo come quando nelle fiabe

l’amore vince dell’umano amplesso.

    Lascia che ballino tra loro i lupi

nel buio della notte che li avvolge

e tu, sognante, resta dietro i vetri

a  rimirare il loro dimenarsi

all’ombra della luna che li inghiotte

e vivi dei tuoi sogni evanescenti.

 

La nevicata dopo …

 

   Sopra gli anfratti torbidi

a fioccchi biancheggianti

cadde la neve morbida

dal cielo reso prodigo

di nuvole assortite

e le sospinse labili

il vento giocoliere

che sopra i tetti tribola

di case non più vive.

All’apparire plumbeo

appena all’orizzonte

d’un cinguettante  passero

il cuor balbetta  e spera

che torni nuovo a splendere

il sole che glissò,

ma resta solo gelida

la coltre che ricopre

il verde ch’era turgido

e  stinse  d’ombre vane

le tragiche macerie

d’un tempo che passò

 

 

L’Ultima impresa

 

Da Roma ai Dardanelli,

dai Dardanelli a Tripoli

passando per l’Egitto

volò Guerrin meschino,

in Africa diretto.

Di Scipio l’elmo cinse

ma s’arrestò per strada

temendo d’incappare

nel centro della Guerra.

Girò verso la Francia,

salì verso i Valloni,

richiese di parlare

con tutti i convenuti

su Tripoli e Bengasi

d’Italico retaggio,

schierando in campo aperto

legioni di parole,

che mai non vide Zama,

confuse tra le spade

d’opposto schieramento.

Impone a tutti quanti

che pace regni italica

nella romana Libia.

Dirotta tutti quanti

a disquisir di pace

in casa del Tedesco

dicendo peste e corna

del Franco non gradito

e per restar famoso

sapete cosa fa?

Ripone nel bagaglio

l’italico furore’

le spalle volge indietro,

saluta e se ne va

a rinfrescar le chiappe

al mare steso

felice d’aver vinto

del suo stato

la povertà nel mondo,

che ... scomparve!.

 

 

 

 

 

La soppressa luce

 

  Ahi! Vita che mi sfuggi

io son per te la riva

del mare che ti limita

e  l’onda scapestrata

di mai provati brividi

nel fiume di pensieri

che scende muta a valle

e, non trovando pace,

spenta lasciò la fonte

di soppressa luce

e  sulle sponde ignora

il  rifiorir di gigli

e colorate  primule

nel limo soffocate

a valle ristagnante;

né sa del piede  l’orma

la Speme né la Fede

mostrare nell’oblio

di sommerse pene.

Se pur ritorna il mare

a ribaciar la riva,

inerte resterà

la sabbia che brillava

e nulla al mondo torna

come quando di fervide

speranze s’inondava.

Addio per sempre fatuo

dell’acqua l’ondeggiare

nello splendor del sole.

Addio per sempore mare

dalle spumose rughe

a cavalloni strutte

Addio per sempre ingrata

terra di vaneggianti

sogni rutilanti al vento.

Del  gorgogliante fiume

solinghe resteranno

le denudate  rive

di fiori e di pensieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Io e Golia  

 

La proda percorrevo anacoreta

del vivere sereno nell’attesa

di giungere giulivo alla mia meta,

ma d’improvviso il passo mi sbarrò

l’immagine spavalda di Golia.

Un sasso oblungo colsi dal terreno

ma non trovai la fionda per lanciarlo

e quando infin la presi e la puntai

a me davanti diventò Golia

un picciol punto che corona aveva

con  tanti denti pronto ad azzannare.

Non mi restava che tornare indietro     

buttare il sasso, conservar la fionda

e ritornar del tutto chiuso in casa.

oppur giacere in terra come frutto

dall’albero caduto della vita.

Di vivere la scelta preferii

e prigionier divenni d’un fantasma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così è.   

  

    Se giusto sia gridare

quando il dolor ti piaga

od in silenzio stare

mi sembra cosa vaga,

 

   perché d’intenso giace

il turbinio del mondo

e l’ascoltar non piace

lo stimolo profondo,

 

    che l’animo ti tocca

e bada solamente

a non aprir la bocca

per dire proprio niente.

 

    Geme l’altrui dolore

che sorge nella gente,

ma lo riporta il cuore

in modo  indifferente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Le tre luci   

 

Promesse spiattellate                                  

nell’odio rosolate

giammai potranno dare

conforto e sazietà

a chi la pena soffre

d’eterna povertà,

né  delle tante  stelle

lo squallido chiarore

conforta di chi soffre

le pene del dolore,

né favellar forbìto,

mirabolando fiori

o sciorinando al cielo

fantastici contorni

di mete mai raggiunte,

né lo sfornare accuse

a volte inesistenti

giammai saranno fonte

di gran felicità,

ma l’apparire solo

d’appena tre lucette

accese d’improvviso

nei giorni del dolore

che sanno di Speranza

di Fede e Carità,

potranno dare pace,

e luce di bontà

a chi soffrendo sta

e far restare vivi

avanzi di pieta.

 

Compere di Pasqua.

 

La colomba andò al mercato.

Sai tu dirmi che comprò?

 

Sopra il banco della Fede

Sai  tu dirmi che guardò?

 

Una cesta di Speranza

Presso l’albero notò,

 

Tra pacchetti seppellita

Tutta piena di Bontà.

 

Lei la prese arcicontenta

E chiamolla Carità.

 

Indi prese sotto l’ala

Un soldino di Pietà

 

E col cesto sotto il becco

Al commesso lo mostrò.

 

Ai suoi bimbi cinguettanti

Questo dono lei portò

 

e fu festa della Pasqua

Quando al nido ritornò              

 

Addio superba Quercia      

 

 

      Malato il sole squallido

alla finestra mostra

d’april l’aspetto perfido

che mai osar mostrò

     negli anni resi immemori

di luce conquistata

all’infelice tenebra

d’inverno che fuggì.

     Di morte l’inno stridulo

del mese traditore

nell’aria resa torbida

in alto si levò

    e dalla terra sterile

le sue  radici svelse

alla supina quercia

già rorida di pianto

    quel  dì  che pendula

la tempestosa  cima

al suol rivolse pavida

dei rami ripiegati

    per adorare tremula

la rosa, che pur innanzi

il gambo  già pieghevole

stecchito reclinò.

    Virale il vento sadico

la quercia sradicò

e la ridusse povera

di mistico saluto.

     Addio superba quercia

di lotte invitte e  sante.

A te rivolgo un cantico

di pace e di pieta.

 

Non resta che pregare

 

Rintoccano I minuti,

galoppan l’ore mute

e passan le giornate

nello sfuggir del tempo,

che brucia nostra vita.

Di nero la sommerge

il vento degli eventi

che sa di soffio estremo

nel turbinar scomposto

di note sempre amare.

Il sibilar scomposto

di note sconvolgenti

rimbomba nella mente,

che teme e non consente

di vivere sereni.

L’onda, su cui dei poveri

giullari del pensiero,

si leva immensa e densa,

distrugge la speranza

del tempo da venire

e mesce lacrimosa

la spuma biancheggiante..

Addio superbi sogni

di tempi rubicondi.

addio sciupata stasi

di dolorosi eventi,

addio vita serena

di contemplata pace.

Di morte oscena l’ombra

nel mondo oscilla grave

e più non sale prece

che l’animo t’acqueta.

Né sa l’umano stato

quando gioir potrà

del cielo senza nubi,

del sole risplendente,

di vivide giornate,

vissute senza tema

di perfidi fantasmi.

Possa di Dio la mano

colmare di speranza

la vita che ci avanza.

Non resta che pregare.

 

         

Il letto con la vela

 

     Tranquillamente steso nel mio letto,

attenderò che passi la tempesta

e vivere così, per mio diletto,

di storie e di pensieri nella testa,

 

    che di libri si ciba e non contesta

di divenir più saggio e non infetto.

Del resto non è certo  cartapesta

che mi circonda in modo assai  perfetto.

 

    Mi copre quel desio di lamentela 

che nasce dall’avere immoto il cuore

d’amichevoli incontri e parentela,

 

    Tutto questo mi provoca dolore

ed altre pene,  ma diventa vela

che spinge la mia barca con furore.

 

                          

 

 

 

 

AUGURI MAMMA

 

 

Adesso del tuo viso

il mio  ricordo in alto

sale e  non tace il cuore

quel tuo sereno aspetto

che mostravi allora

quando vita t’arrideva

e dell’amore paga

al seno mi stringevi,

o cara madre mia. .

Io vidi te volare

in cielo il dì funesto,

che mesto ancor ricordo.

Era di festa il giorno

e non potemmo nulla

per trattenerti ancor

con noi su questa terra.

Solo baciarti in fronte

e mano tra le mani

mi fu concesso avere

e non  veder sbiadire

i tuoi capelli neri

appena mescolati.

col bianco appariscente.

Solo speranza adesso

mi sprona e mi dà pace

di rivedere te

nello splendor di Dio

ed abbracciarti ancora

come quando piccino

al seno mi stringevi

 

           

 

 

Gorgheggia il mare.

 

Gorgheggia il mare rifrangendo l’onde

sulla battigia ricca di colore

e scorgere tu puoi poco profonde

le pietre accarezzate con amore

 

Son diventate quasi grige e tonde

ma non soffriro certo alcun dolore

nell’accostarsi al suol lungo le sponde;

ognuna sembra di corolla il fiore.

 

Baciarono le gote gli anni miei

e bianchi diventaro I miei capelli

al punto di sembrar agli occhi miei

 

superbo  il sire di canuti  uccelli,.

che vogliono sapere  quando sei

già pronto a  riposare nei sacelli.                          

 

 Il tempo si fermò

 

Il tempo si fermò!

Ma l’orologio l’ore

andava ticchettando

immobili rimaste

sul fiume di pensieri

precipitanti a valle

nell’imo dell’assurdo

che cancellò la pace

raggiunta con fatica.

Il plasticato tubo

dalle guantate buche

m’accolse sconosciuto

foriero di sventure

e l’agitar sconnesso

dell’ululante moto

nell’auto lettiga

mi resero basito

e non capii più nulla.

La corsa infin cessò,

si spense la sirena

Il morto venne vivo

dal tubo partorito

e consegnato a mano

ad angeli blindati

di bianco non alato.

La febbre era salita

il cuore traballava

la mente non capiva.

Al misero malato

gli venne detto chiaro

d’avere la corona.

Ma come avvenne il fatto

non si capiva bene …

due volte negativo

da precedenti esami,

il terzo positivo

lo dava l’indomani.

M’accolsero prudenti

sul molo di San Marco,

di bianco paludate

angeliche fatine

in viso mascherate

e senza l’ali a tergo,

che le copriva tutte

il classico scafandro

che fu di Palmisano.

Un medico m’accolse

anch’egli intabarrato

e disse un po’ sorpreso

che male non andavo.

Passati ben tre giorni

di mitici tamponi

neganti la presenza

del torbido folletto,

mi vide nuova stanza

ed anche nuovo letto.

Volarono d’intorno

le mitiche fatine

uscite dal biancore

d’anonimo sapore.

Sembravano farfalle

uscite dalle larve

e mi fu noto il viso

d’ognuna che vedevo.

Conobbi Chiara, Pina,

Roberta, Robertina

Stefania ed Albertina

e Barbara e la Tina …

D’ognuna un buon ricordo

conserverò nel cuore,

un grazie lor porgendo

per cure ricevute

e possa lor donare

fortuna buona sorte

per quanto fare sanno

con gioia e con passione.

Ho perso la corona,

non sono più monarca

confuso e stralunato,

ma scampolo felice

del popolo figliolo,

a casa ritornato.

 

 

 

Alla Reggia di Re Artù.

 

   Guerriero scoraggiato,

al desco già m’assisi

d’ignoti cavalieri

del Principe d’Artù,

per suscitar l’oblio

di giorni ormai passati.

Al fianco già deposi

l’usbergo e l’elmo

dal pennacchioso ciuffo,

con l’anima coperta

ed il rugoso volto

dal biancheggiante lembo

di flaccida fanella,

l’insegne sottacendo

d’imprese disperate

l’immagine sbiadita.

e col pensier ritorno

all’umile dimora

che vide I miei natali

e ritornar mi fingo

giullare ancor bambino

la terra calpestare

di memori sentieri

con il modesto passo

dall’innocente zelo.

Rivedo già nel solco

del tempo che trascorse

le rose rifiorire

e biancheggiare I gigli

che sanno di purezza

e l’ansia già mi nasce

di ritornare ancora

a pregustar la pace

dell’erba che soggiace

all’innocente peso

d’un passo trepidante.

Adesso del futuro

l’ansia già m’assale

e della spada il vanto

vittoria più non grida,

che vincere non lece

nemico evanescente

che ruzzolando lede

e turpe si nasconde.

Non bastano bandiere,

cavalli scalpitanti  

né lance, né turcassi,

né brividi d’assalto

o palle di cannoni

per conquistar la pace

che calpestata giace.

Serrar convien le file

con scudi intelligent

capaci d’arrestare

l’attacco del nemico.

E’ questo il mio pensiero,

è questo il mio consiglio

se vincere vogliamo

la guerra che ci assilla. 

 

Che dire ,,,?

 

   Le mie preghiere fervide

in cielo son salite

e nella corsa flebile

son subito sbiadite

sfiorando solo  nuvole

di mostri rivestite,

che lentamente brigano

col sole già morente.

   Sulle mie labbra tremule

fiammate  di pensiero

nel desolato  turbine

dell’aria che le spenge

e mestamente piangono

soffuse dall’oblio

che fa restare immemore

la speranzosa prece.

   In petto solo il culmine

di disperate mete

disciolte nel silenzio

per ritrovar la pace

che tristemente pavida

sul muto soglio langue

e si dispera tremula

per la perduta stasi.

 

 

In morte di Pablito Rossi

 

    Tra le superbe zolle sempre verdi

per te, che corri voli oppure salti

dietro il pallone che per niente perdi,

non tace il rimbombante grido sugli spalti  

che tu giocando esalti.

 

     Ancor di te si narra e si favella

che quando lesta e senza scampo in rete

la palla tu spingesti tonda e bella

che della gloria spense alta la sete

che più non si ripete.

 

    Ormai di te non resta che ricordo

e sugli spalti aleggia solo il pianto

per l’inattesa fine,  non lo scordo,

che fosti dell’Italia il vanto

ed or solo rimpianto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se tu vuoi …

 

Tu, nella stanza cheta

t’aggiri o rondinella

e la sperata meta

non ti sembra bella.

Con l’ali già deposte

nella raggiunta stasi

non sembra avere soste

la ricordanza o quasi.

L’aureola non cinge

il capo tuo corvino

ma quel tuo nero pinge

il senso del destino,

che l’anima ti scuote.

Non cantica sollecita

più narra sulle note

la litania che recita

la storia già finita.

Profumo spande intenso

la fiaba ancor sentita

di desiderio immenso,

che narri tu con gli occhi

nel tacitar di sogni

che col pensier ritocchi

e vivamente agogni.

Fantasmi del passato,

son l’ansia del presente

in questo mondo ingrato

che punge ancor repente.

Ignora, se tu puoi,

il vaso di Pandora.

Ricorda che, se vuoi,

la vita è bella ancora.

Per quanto mi concerne

io l’armi già deposi

e nelle veci alterne

pensieri non estrosi

osar non voglio ancora

nel clima che repente

sempre di più peggiora

il mondo e pur la gente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rondinelle in fuga

 

O rondinelle, rondinelle cupe,

voi che fuggite sempre più lontano

e temete l’arrivo dalla rupe

del falco, che vi rese il viver vano,

il volo che difforme disegnate

nel cielo che s’illumina d’immenso,

dite, dite di cosa vi scansate

tutti insieme volando senza senso?

E’ nello stare forse tutte insieme

che gioca ognuna muta un triste ruolo,

perché colpisce il mostro chi non teme

e l’altre salve fuggiranno in volo.

Potrebbe il falco, dico, mai colpire,

o rondinelle che fuggite a stuolo,

se provasse lo sciame ad assalire

l’assalitore che ne avrebbe duolo?

Orsù smettete di fuggire sempre,

inverso il senso del volar provate

e nuova linfa avran le vostre tempre

se d’attaccar l’assalitor pensate.

 

 

 

 

 

 

 

Al mostro nero d’Acireale

 

Non più fumante di vapor foriero,

sulla tronca panchina inerte e tacito,

di ruggine corroso, il mostro nero,

che, sferragliando un tempo sul binario,

quivi giungeva rutilante e gravido,

dorme sereno sulle ruote steso

né più risuona il suo frenar intrepido

sul ferro, che corrusco ed indifeso

di scintillanti briciole investiva

quel circostante spazio ed era fremito

di suoni e di bagliori che copriva

della natura l’apparato scenico.

Al suo fermarsi, che non era docile,

seguiva l’apertura di portiere

ed il vociar scomposto e rapido

di genti in moto sempre più ciarliere

e, quando infin cessava il brulicare

sul glabro sito dall’aspetto lavico,

tornava il mostro nero a pennellare

il cielo di vapore e fumo intrepido.

Adesso, l’ansimar non sento tragico

delle sue ruote, che, staffate immobili,

ricordano percorsi non più tinti

di nero fumo a forma di pannocchia.

Il tempo passa ed ei non è più valido.

Al posto suo l’elettrotreno corre

e la rincorsa morde il suo binario

mentre lo guarda e con fermezza tace.

D’aspetto truce, povero e mendico,

tramanda un sogno per davvero estatico.

che vinse certo nel remoto tempo

ed ora, muto, sembra più fantastico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione

 

Antiche storie di passati eventi

sulla marmorea lastra della lava

ricordano quei tragici momenti

quando rossa ed imperterrita colava

 

sui fiordalisi e gli alberi morenti,

mentre allibito l’uomo la guardava

discendere sui clivi dirompenti.

Adesso ricca di riflessi spenti,

 

muta si stende sul selciato molle

del verde prato che d’intorno cresce.

e sopra d’essa d’una croce estolle

 

l’eburneo segno, che d’amore mesce

chi giace sotto le coperte zolle

e nelle vene il sangue più non bolle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al vento sparse.

 

Al vento sparse le cadute foglie

danzano scomposte sul terreno

ma nessuno le cura o le distoglie

e sono fonte di dolore osceno

degli alberi piangenti nella bruma.

Le colse il freddo del’inverno esploso

sulle pendici d’innevata schiuma

del ramo addormentato e già poroso.

Morirono le foglie ma la vita

il tronco serba del gigante in sonno

e quando il sole mostrerà spedita

la luce ed il calore tutto intorno,

altre foglie adorneranno i rami

e fiori e gemme fioriranno ancora.

Foglie cadute sono i giorni grami

che scomparir dovranno il giorno e l’ora

del riso e del sereno che ritorna.

Non vi crucciate dunque del dolore,

stringete i denti e fate pur le corna,

così d’ambascia sparirà il sentore.

Rubello il tempo ogni beltà cancella,

ma nell’anfratto di perduti istanti

altre cose cancella e rimodella,

donando al mondo la beltà dei Santi.

Così speranza che nel cuore alberga

pimpante e viva, senza alcun timore

alla tristezza porgerà le terga

mostrando intorno un risplendente fiore,

che l’aria di profumo inonderà

e rivedrete allora il bel sorriso

sulle dischiuse labbra a chi dirà

d’avervi visto prima tristi in viso.

 

 

Cose di casa nostra.

Sul bianco cono

dalla base estesa

alta si leva

gongolante in cielo

una nuvola nera

e sembra tesa

a ricoprir l’azzurro

con un velo

Alla sua base,

di rossore obesa,

un rilucente

ed infuocato stelo

con essa rugge

e mostra la pretesa

d’essere viva luce

di candelo.

Un improvviso e cupo

rimbombare

di tuoni ne fu chiaro

il nunzio solo

e di nero si vide

scombinare

il rosso, il verde

ed il bianco suolo.

Necessitò, pertanto,

cancellare

degli apparecchi

totalmente il volo.

Ma resteranno infine

i tre colori,

a risplendere al sole,

strepitosi

sulla montagna

che non ha ra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 L’Espressione musicale

 

Ali spiegate con supremo dire

di celesti contorni strumentali

si levano nell’aria alabastrina

e sembrano le nubi paradisi

di primule sospese  ed infinite

al suono di violini e di timballi

che rimbombando vanno l’armonia

dell’anima, soffusa di piacere

o di tristezza e di dolor immenso,

mentre l’eco di sogni la cosparge.

e mescolando vanno trilli d’oro

agli argentati sciami della notte

nel punto che dal sonno si risveglia.

Squilli di trombe e suoni mescolati

vanno insieme a suadenti note emesse

sugli spalti d’improvvisate scene

e nascono  canzoni ed inni sacri

superbamente espressi nel contesto

di storie nuove e cantiche novelle.

Allor la pace regnerà sovrana

tra popoli lontani ma vicini

al suono della cetra e del violino

che l’odio antico coprirà d’oblio.

 

 

 

 

La  danza delle note

 

Sul pentagramma statico,

folletti saltellanti

e d’improvviso queruli,

le note van danzando.

 

Sembrano proprio rondini

posate sopra i righi,

che paralleli  scorrono

sul foglio immacolato.

 

Nel silenzioso spazio

le vedi variegate,

mentre nell’aria fluida

si sente nuovo suono.

 

Cinguettano le rondini,

silenti più non sono

nel lor volare trepido

tra rigo e rigo docili.

 

Le muove un tasto tremulo

ad ogni tocco estremo

del pianoforte immobile

oppur la tromba in resta,

 

suonata a trilli fervidi

od il tambur che rulla

sullo scandire  morbido

il suono già sentito.

 

Né può restare tacito

in mezzo a quel brusio

il marranzano siculo

che spreme il suo ronzio.

 

Si leva a volte un cantico

di voci accompagnate

al suono della musica

ed è canzone allora,

 

che le montagne valica,

discende lungo i clivi

e svolazzando limpida

nell’anima si posa

 

e come fosse simbolo

di nuovo sentimento

la rende pure fulgida

di sensi giubilanti.

 

A volte solo musica

si sente sull’altare

che dolcemente svincola

un inno di bontà

 

ed è preghiera fervida

che sale in cielo sacra,

di pene non più ruvida

nel nome del Signore.

 

l’Umanità dimentica,

sull’onda delle note

nell’ascoltar  le nenie,

le pene della vita

 

Per questo sempre turgide

nel ciel danzan le  note,

superbe, dolci e gravide

degli strumenti in coro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il falso mito

 

     Finiamola con guerre,

dai vati celebrate

per far paterne terre

più grandi e molto amate.

     La Patria non vuol morti

sacrificati a Marte,

ma debellati  torti,

comparsi d’ogni parte.

     Sulla modesta croce

che vigila  la tomba,

non giubili la  voce

ma doloroso incomba

      l’orrendo e triste mito

di morte senza scopo

ed il mostrar col dito

che vincere fu d’uopo

      il perfido nemico

appaia  solamente

motivo molto antico

per gabellar  la gente.

      Si levi un grido unanime

d’amore e di bontà

dalle schierate masse

e non l’opposto  vanto

      poiché per questo venne

Gesù sacrificato

e renderlo perenne

all’uomo fu traslato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La vela ed il libro

 

Alza la vela e vola spensierato

il mio sentire e d’azzurro si tingono

dell’anima l’ambascia ed il desio

nel libro diventato con passione

barca di sogni, di chimere alate,

nonché di luce e di misteri arcani.

S’illumina la notte di chiarore

e svelano del mondo il divenire

le stelle che risplendono nel cielo

sfiorando l’infinito che bordeggia

e del saper s’illumina la mente

che scopre dell’eterno l’esistenza

ove di pace l’anima si plasma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Giusy Ciagola

 

A te che muta te ne stai seduta

tra nuvole fugaci e variegate

d’affetti e di pensieri e volgi spento

lo sguardo in cielo fuso

ad un passato che non torna più,

ascolta la mia voce

che rincorrendo va la fantasia

ed ignorando l’eco delle pene

la luce mostra di speranza accesa,

di fede e di bontà.

Tra i cirri neri all’orizzonte sparsi

il sole attende di spuntar splendente

e che del vento l’opera benefica

lontano scacci nuvole e procelle.

Le lacrime versate come tede

con cuore disperato

saranno allor l’effluvio variopinto

di polvere di stelle,

che spargeranno intorno il tuo sentire

e quando infin godrai la quiete,

felice sentirai il tuo respiro

che sul tuo viso aleggia e si riposa.

 

 

 

 

 

Sogno svanito

 

Sogno svanito

di passati eventi

emergere ti sento

dal profondo

dell’anima distesa

e più non menti

sulle speranze

che mostravi al mondo.

Immagini

volavano suadenti

alte nel cielo

terso e rubicondo

ed eravamo

placidi e contenti.

Adesso guardo intorno

e mi confondo

nel rivedere

mostri appariscenti,

che  credevamo

relegati in fondo

al mare sotto l’onde

prorompenti

di fatti nuovi

desolanti e truci 

e non  nascondo

d’essere confuso

 

Albe e tramonti

 

D’albe stupende e roride

nel placido splendore

di colorate nuvole,

l’immagine cingevo

del tuo fiorente aspetto

e sullo stelo turgido

di fiore evanescente

spiccava la corolla

intorno resa  morbida

dal tuo respiro alato

sui rigogliosi petali

mentre d’intorno il prato

di verde risplendente

di te faceva ninfa

della natura aulente.

Ero felice a pieno

nell’scoltare estatico

i  trilli rubicondi

del tuo sereno dire

e mi sentivo Alfeo

nello sfiorarti il viso

travolto nell’amore.

 

Adesso che tramonti

all’orizzonte incombono

forieri della notte

al sol chiaror opaco

e sullo stelo fragile

di fiore già appassito

i petali cadenti

già pregano in ginocchio

sulla corolla torbida

del pianto che verrà.

Odo i lamenti perfidi

del tempo che sconvolge

e tutto ammanta e sporca

di nero prorompente

Solo fantasmi d’orrido

nel cielo non più terso

sconvolgono le fronde

immerse già nel buio.

La notte annientatrice

precipitando sale

e tutto intorno tace

 

 

 

 

 

 

 

A  VENEZIA

 

Di traballanti  zattere

con gente offesa e vinta

le sponde  si coprìrono

di scogli al centro posti

delle laguna magica,

che fu novella patria,

laddove il mare tremulo

si fregia di maree

che delle case furono

difesa e cruccio amaro.

Così si vide nascere

Venezia strepitosa

dalla laguna al centro

modestamente pavida

cercando nuova vita.

Ma tempo al tempo fervido

la rese gran signora

di superboso popolo,

padrona incontrastata

d’armate navi gravide

di spezie e di ricchezze.

Con esse il mare grigio

e le sue terre attorno

furon per lei di stimolo

nel conquistare il mondo.

Le sue risorse veliche

la cinsero di seta

col navigare facile

e monumenti splendidi

con l’onde saltellanti

la gioia le donarono

di scorazzare libera

nella laguna in pace

con favolose gondole

ed inventar sospiri

sotto pontili  piccoli

tra  stretti rivi posti.

Ed ora che non garrulo

più vedi sul verone

l’appariscente ciondolo

del paludato Doge,

né governare torbidi

i Dieci in concistoro,

è bello che si sentano

le voci del consenso

all’arte nuova fervida

del raccontar conciso

filmate storie tragiche

che sanno ancora d’arte

e non  gli eventi gravidi

d’orrende e brutte cose.

Sul mare brilli turgida

la luce e lo splendore

dell’arte bella e sobria

del rimembrare cantiche

di film vecchi e nuovi

e sia  Venezia sempre

regina incontrastata

dell’arte senza fronzoli

costantemente r

 

Parole

 

 

Castelli di parole in alto spinte

contrastano le nubi evanescenti

e di  novelli accenti variopinte,

che dalle stelle sembrano pendenti,

 

disegnano fantasmi ricorrenti

di sicumere miste a  fosche tinte

che sembrano fatali monumenti

di cose nuove dalle  stelle avvinte.

 

Se fede tu ritieni di mostrare

a chi ti parla strano e par sincero,

occorre nel silenzio meditare

 

se parla giustamente e dice il vero

perché non basta solo l’ascoltare

che esiste l’oro bianco e quello nero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mare

 

Ben poca cosa dice il grande Lorca

del mare quand’è calmo e si riposa.

Il mare è l’infinito che si placa.

Albe dorate son l’onde sedate,

che d’argento si tingono la sera

e luccicanti brillano di giorno.

Se Zefiro le spinge e le accarezza

scintillano di bianco spumeggiante,

e tingono l’azzurro saltellante

che rivoli non sono, ma stelline

di vetro iridescente a spruzzo espulse.

Le vedi e vaga il pensier tuo sognante

l’ali spiegando della fantasia

e senti di volare sopra i flutti

per poi tuffarti a cuor leggero in acqua

e gli occhi tuoi si tingono d’immenso

e tu diventi uccello che planando

vola felice e d’approdar non cura,

alla ricerca di tritoni e ninfe

nelle deserte praterie del mare

oppur di Venere goder la vista

che nuota verso Cipro ed è silente.

 

Se poi dal vento scatenato l’onde

vengon colpite con furore  e forza,

alte montagne vedi semoventi

 

e l’azzurro di bianco si cosparge

incontrastato sire di violenza

e sembrano cavalli scalpitanti

e cielo e mare sono insieme fusi

e l’infinito all’infinito estolle

e sembrano sfidare la natura

tritoni armati di tridenti e pale

che conquistare vogliono le nubi

e tutto quanto abbraccia l’universo

ti turba l’anima scomposta e truce.

Il sol guardare quella scena orrenda

ti rende triste  e pieno di dolore

e solo la speranza nasce in petto

che tutto torni calmo in santa pace

e l’annegar sia dolce col pensiero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE SULL’AUTORE

 

Giuseppe Nasca, detto Pippo, nasce a Catania il 2 Febbraio del 1937. Pensionato dal 1 Luglio 1996 delle Ferrovie dello Stato con mansioni di Capostazione, vive nella cittadina di Tremestieri Etneo (Canalicchio). Amante della letteratura, dedica il suo tempo scrivendo e pubblicando poesie, racconti, romanzi e saggi. Tutti i suoi scritti sono pubblicati anche su Amazon in cartaceo ed  e-book.

Elenco delle sue pubblicazioni, oltre al presente volume, che è uno zibaldone poetico di pensieri e sentimenti attraverso la pandemia del Covid 19, vissuta tra la fine dell’anno 2019 ad oggi.Oltre ai seguenti scritti è autore di numerosi racconti e poesie pubblicate in varie antologie. Edite da Akkuaria ed altri editori.

 

 

   

    

    

                             INDICE

 

Ringraziamento e riconoscenza

Antica storia

Cose di cosa nostra

L’uragano

La forza dell’uccello

In morte di Giovanni Cavallaro

Noi e la Montagna

Le ritrovate foglie

Matematica in versi

La sabbia in fuga

Primavera 2019

L’Etna ed il Falco

Scivola

Pasticcio di colori

Io fiammeggiante sole e tu candida luna

La scienza e le stelle

Ad Anna Manna

La gara

Pellegrino in cielo

Guardando un quadro di van Gogh

Purtroppo ...

Omaggio a Camilleri

Spunti d’orgoglio

Autoritratto

Ascolta il mio gridare

Malinconica nostalgia

L’ombra del future

Presunzione

Versi colorati

Pensando a Te ...

Al vento scrivo

A Mario Narducci leggendo una sua poesia

Fantasie d’inverno

La nevicata dopo ...

L’ultima impresa

La soppressa luce

Io e Golia

Così è ...!

Le tre luci

Compere di Pasqua

Addio superba quercia

Il letto con la vela

Auguri mamma

Gorgheggia il mare

Il tempo si fermò

Che dire ...?

Allaregia di Re Artù

Se tu vuoi ...

Rondinelle in fuga

A Pablito Rossi

Al mostro nero di Acireale

Riflessione

L’espressione musicale

Al vento sparse

Cose di casa nostra

La danza delle note

Il falso mito

La vela ed il libro

A Giusy Ciagola

Sogno svanito

Albe e tramonti

Parole

A Venezia

Il mare

 

 

                                                                                                                                         

 

: