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Costumi tipici siciliani

Dell’immenso patrimonio di costumi tipici siciliani oggi non resta molto, essendo ormai quasi del tutto spariti. 

 

Qualche traccia si può ancora ammirare nei paesi interni dove tutt’ora esistono e si conservano antiche tradizioni sia maschili che femminili.

 

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da in sicilia.org

 

 

 

Abiti femminili.

 

Il più tipico dei costumi siciliani femminili è composto da una gonnella di cotone o di lino, o di lamé a colore, chiamata fadedda o fadetta. E’ una gonnella semplice e pratica, che scende dalla cintura fino al piede, da mettere sulla sottoveste, che può essere o no unita con lo spénsiru o col jippuni dello stesso o un altro tessuto. Sulle spalle scende a punta un fazzoletto con colore o bianco fermato con uno spillo sul petto. Un grembiule modesto sulla gonna, delle calze color azzurre, scarpine nere e una mantellina di panno sulla testa terminano l’insieme di un vestire molto modesto.

 

La mantellina in particolare si infilava in ogni occasione (e spesso era un abbigliamento che durava tutta la vita). Con la mantellina, in ogni stagione, le donne uscivano di casa, andavano in campagna e in paese.


Quando andavano in Chiesa, a qualche visite o a processione non ordinarie, indossavano la faddigghia, sopravveste di seta nera, che dalla cintura scende abbondantemente fino al piede e, secondo i luoghi, un manto foderato con la mantellina, ma privo di orlo, di panno, o secondo il ceto, di seta nera (cativellu o armuscinu) il quale copre il capo e circonda tutta la persona cadendo morbidamente più sotto delle ginocchia.

 

Il manto è il più tipico dei costumi dell’Isola. Nella provincia di Messina le ragazze chiamavano questo capo d’abbigliamento "orate frates", in quanto a passeggio, quando volevano farsi vedere da qualche ragazzo, si scoprivano inaspettatamente il capo e il corpo come per accomodarsi. Sotto il manto nero, infatti, si vedeva un busto bianco anche senza fazzoletto che esaltava il collo e il seno.


In ogni parte della Sicilia era un manto, più distinto dall’ordinario, che metteva in vista certe donne di buona famiglia. Infatti chi possedeva un manto aveva già qualcosa di suo e qualche volta lo dava in noleggio ad un soldo l’ora a quelle popolane che non potevano concederselo. Con qualche civetteria il manto si fissava al fianco sinistro, formando una rientratura nella linea retta cadente, dall’alto al basso. 


Il manto veniva usato per le maritate o per le giovinette da marito, era come il passare da uno stato all’altro: ragione questa di complimenti di parenti e amiche alla madre della neo-sposa. Scherzosamente veniva chiamato anche "cummoghia-miserii" (copri miserie) poiché sotto questo manto la popolana poteva indossare vestiti rovinati senza che nessuno se ne accorgesse. La qualità naturalmente variava secondo le condizioni economiche della donna che lo indossava, ma la tinta rimaneva rigorosamente nera, di panno pesante d’inverno, leggero d’estate. 


Le operaie adoperavano invece uno scialle che costituiva il tradizionale abito paesano.

Per quanto riguarda i costumi degli uomini, si possono dividere in due categorie: giornalieri e festivi. In ciascuno di essi si riflettono i motivi che li hanno determinati o influenzati. 


L’indumento più semplice è quello dei pastori, indossato durante la pioggia dai pastori o in caso di cattivo tempo, quando erano intenti a guardare i greggi. E’ composto da una giubba (giubbini) e dai calzoni (vrachi) formati con pelli di capra. Di pelle d’animale sono rivestiti anche i piedi, da questo dipende il nome che prendono questo tipo di calzature: scarpe di pilu (scarpe di pelo). Sono composte da un pezzo di cuoio ripiegato in punta e fermato da piccole corregge al collo del piede, rimanendo scoperto il dorso. 
Questa forma di calzature era molto adoperata sia dai pastori che dai contadini.

 

Dell’antica fattura di vestire dei contadini, rimane ancora oggi qualche esempio presso i più anziani nei villaggi dell’interno.
Il loro abbigliamento era formato da un paio di brache di velluto (causi) senza apertura davanti, strette da fibbie al ginocchio, abbottonate lateralmente sui fianchi e legati alla cintura da una ampia fascia di cotone azzurro o verde. Un gran panciotto (panzera) con la stessa stoffa con una serie di bottoni in ottone che rivestiva il torace e su di esso una casacca (jippuni) di velluto scuro con grandi tasche esterne ed interne. Copriva il capo un berretto di panno marrone per i contadini, azzurro per gli uomini di mare.


Dal ginocchio in giù le gambe erano coperte da calze di panno nero in inverno, di cotone bianco in estate.

 

Segnano il passaggio da un’epoca all’altra alcuni cambiamenti di linee nel vestiario, infatti in seguito i calzoni si allungano senza più svasature e la giacca si modella al corpo. 


La qualità della stoffa e la varietà del colore permettono d’individuare, a volte, il mestiere di colui che l’indossa. Il contadino adopera quasi sempre stoffe scure. 


Di origine meno recente infine, sono i cappotti che completano il corredo maschile in ragione di chi li porta sono di dimensioni e di stoffe diverse. Dalla tistera, con un cappuccio che copre il capo lasciando libero soltanto il viso, allo scappularu, che arriva alle braccia ed alle mani, al cappotto che giunge fino alle gambe.