Un populu mittittinc’ a catina |
Un popolo mettetegli la catena |
(Ignazio Buttitta)
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“Lu sai pirchì iu l’amu lu dialettu
la matri lingua d”u me paisi?
Pirchì mi la nzignaru senza spisi
e senza sforzu d”u me ntillettu;
pirchì non ci nni levu e non ci nni mettu,
ca lu so meli, cu’ fu, ci lu misi;
pirchì è onesta, tennira e curtisi
e quannu canta attenta a lu me pettu.
L’amu pirchì ci sentu dintra la vuci
di tutti li me’ nanni e li nannavi
di tutti li me’ vivi e li me’ morti;
l’amu pirchi’ mi fa gridari forti:
"Biddizzi chiù di tia non c’e’ cu’ nn’avi,
terra fistanti mia, cori me duci!"
Vincenzo De Simone, poeta siciliano del ‘800
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La Lingua siciliana
Una delle delle prove più convincenti dell'unità spirituale del popolo siciliano è costituita dall'uniformità sostanziale del linguaggio parlato dai sui abitanti.
In assoluto contrasto con la Sardegna e con l'Italia meridionale, i dialetti siculi danno l'impressione di una grande uniformità. Tolte alcune piccole divergenze fonetiche locali, vige nell'isola, un dialetto unitario. Le differenze che si possono riscontrare nel lessico derivano quasi esclusivamente dalla maggiore o minore presenza di relitti arabi e greci. Il lessico latino presenta in tutta l'isola tale uniformità quale di rado e dato di constatare nel resto d'Italia.
La romanità della Sicilia non ha le sue origini nel latino importato nell'isola dai romani, ma deve essere piuttosto il risultato di una nuova romanizzazione compiutasi gradatamente, solo dopo il crollo della dominazione araba.
In Sicilia non si è sempre parlato e non si parla tuttavia, unicamente ed esclusivamente il siciliano. Già nell'antichità greco-romana i siciliani parlavano correttamente tre lingue: il greco, il latino e il punico e fino all'età di Augusto le monete siciliane avevano iscrizioni in greco.
Sotto i romani e gli svevi l'isola divenne altresì paese di colonizzazione: si giustificano così le isole linguistiche, come Aidone, Nicosia, Piazza Armerina che conservano il loro dialetto gallo-italico o quelle che conservano forti tracce di linguaggio settentrionale come Bronte e Randazzo, dovuto alle immigrazioni di notevoli masse di persone che dall'Italia settentrionale si spostarono in Sicilia nell'undicesimo-tredicesimo secolo,sia come soldati con le loro famiglie, sia come coloni, che desideravano abbandonare le terre del Nord travagliate dalle lotte comunali, per lavorare nei campi tranquilli della Sicilia. Altre piccole isole linguistiche si formarono in Sicilia nel quindicesimo secolo, quando gli albanesi abbandonarono la patria per non sottostare alla dominazione dei turchi.
Quali sono le stratificazioni linguistiche più notevoli nel dialetto siciliano? Esse sono senza dubbio evidenti anche ai giorni nostri e possono suddividersi in cinque stratificazioni fondamentali: la greco-classica, la greco-bizantina, l'araba, la franco-latina del periodo normanno e la catalano castigliana del periodo aragonese spagnolo; e in talune stratificazioni minori, come la francese moderna o l'anglosassone, fino ad arrivare agli americanismi importati in Sicilia dalle truppe di occupazione nel periodo 1943-1945.
Limitando le esemplificazioni a quelle strettamente essenziali per ogni stratificazione.
Si nota che l'influsso greco-classico è ancora evidente nell'uso che i siciliani fanno del passato remoto invece del passato prossimo, per indicare un fatto recentemente accaduto (glielo dissi, invece di gliel'ho detto), sono poi vocaboli grecoclassici naca (culla), cannata (anfora), taddarita (pipistrello) ecc...
L' influenza greco-bizantina è soprattutto notevole nei toponimi, come nel caso di Adrano che per secoli diventa Adernò.
L' influsso arabo è chiarissimo in un numero notevole di toponimi, come: sciarra (rissa) da "sciarrah"; favara (sorgente) da "favarah"; giarra (Giara) da "giarrah" ; e tanti altri.
Numerosi sono gli influssi castigliano-catalani del periodo aragonese e spagnolo. Per influsso catalano si ha il siciliano abbuccari per versare, attrassari per attardarsi, accanzari per conseguire, e tanti altri potrebbero elencarsene. L'influsso castigliano da truppicari per inciampare, scupetta per fucile, taccia per bulletta ecc..
Quanto agli influssi più recenti, i mercenari tedeschi delle truppe spagnole e borboniche che inperversarono in Sicilia dal sedicesimo al diciannovesimo secolo, hanno lasciato la lora tipica negazione nixi (da "nichts").
Il francese moderno ha dato al linguaggio siciliano lammuarru per armadio, buffetta per tavolino, tabbaré per vassoio, tirabusciò per cavatappi, tutti termini legati al confort della società abbiente, dal Settecento in poi.
Gli inglesi hanno lasciato un ricordo della loro permanenza in Sicilia nel periodo napoleonico, influenzando anche la formazione del superlativo degli aggettivi (in sicilia bellissimo si dice è veru bellu); fino ad arrivare ai recentissimi influssi americani come giobba per posto di lavoro, importati dai siciliani emigrati e poi tornati in patria.
Le stratificazioni linguistiche del dialetto siciliano fanno fede della travagliata storia del popolo che l'ha parlato attraverso i secoli e che lo ha innalzato a dignità di lingua. La validità del linguaggio siciliano attraverso i secoli, apparirà ancor più chiaramente, se si pensa che esso, lungo il quattordicesimo secolo, fu relativamente autonomo dal toscano e costituì un vero e proprio tentativo di nazionale italiana.
I siciliani sono molto attaccati al loro linguaggio, e la ricchezza e la bellezza dei canti popolari lo dimostra.