da: messinaierieoggi.it
Quattro passi nel centro storico di Messina
Da piazza Duomo alla via Primo Settembre
Definita dallo storico d’arte Bernard Berenson “la più bella fontana del Cinquecento europeo”, la monumentale fontana
Orione caratterizza la più importante piazza di Messina, quella della Cattedrale. Commissionata dal Senato cittadino allo scultore toscano Giovan Angelo Montorsoli (1507-1563), allievo di
Michelangelo Buonarroti. Con essa si intese celebrare un avvenimento eccezionale per la città: la realizzazione del primo acquedotto, iniziato nel 1530 ed ultimato nel 1547 su progetto
dell’architetto Francesco La Cameola, che captava le acque dei fiumi Camaro e Bordonaro. Per collocare la fontana ultimata nella piazza, nel 1553, fu necessario demolire la medievale chiesa di
San Lorenzo che venne ricostruita, poco più distante, su progetto dello stesso scultore in pure linee rinascimentali, poi crollata nel terremoto del 5 febbraio 1783.
Il Montorsoli, coadiuvato nella scelta del soggetto – il mitico gigante Orione fondatore della città – dallo scienziato messinese Francesco Maurolico, autore anche delle epigrafi latine, concepì una struttura articolata a sviluppo piramidale, con un basamento poligonale di dodici lati dove, alternativamente, sono ubicate otto figure di animali marini fantastici in pietra scura e, sul bordo della grande vasca, sdraiate su un fianco, le personificazioni dei fiumi Camaro (le cui acque, appunto, vennero convogliate per alimentare l’acquedotto), Nilo, Tevere ed Ebro, che versano l’acqua che fuoriesce da quattro anfore nelle sottostanti vasche.
La relativa raffigurazione in bassorilievo, sottostante il fiume Camaro, rappresenta una giovane donna coronata, Messina, che lo invita ad entrare in città come benefico dispensatore di acqua potabile. Lungo il perimetro sono dislocate otto formelle ovali marmoree in bassorilievo con soggetti tratti dalle “Metamorfosi” di Ovidio, e, al centro della grande vasca, quattro tritoni-cariatidi fanno da sostegno alla prima tazza circolare, ornata di decorazioni rinascimentali e teste idrofore di Medusa; quattro Naiadi sorreggono la seconda tazza sulla quale poggiano quattro puttini a cavallo di delfini. Al culmine della complessa struttura si erge Orione, in trionfale esultanza, che sorregge uno scudo con lo stemma della città. Ai suoi piedi, il fedele cane Sirio.
Poco distante, accanto al campanile astronomico-figurativo del Duomo, sorge il monumento all’Immacolata. Realizzato ed inaugurato l’8 dicembre del 1757, era originariamente ubicato in una piazzetta allora denominata “del Pentedattilo” e, poi, “della Concezione” (quasi di fronte alla scomparsa chiesa di S. Nicolò sul corso Cavour, dove oggi sorge il palazzo della Provincia Regionale). Lo scultore messinese Giuseppe Buceti ideò, per questa sua opera, un alto basamento di forma troncopiramidale adornato da angeli e da epigrafi, ispirandosi alla Vara dell’Assunta. La tradizione storica vuole, infatti, che il monumento fosse eretto quale ex voto cittadino in ringraziamento alla Vergine, nello stesso sito dove nel 1681 e nel 1738 caddero dalla “machina” festiva i sei personaggi viventi posti alla sommità, quattro angeli, il Cristo e l’Alma Maria, restando miracolosamente illesi. Danneggiato dal terremoto del 1783, il monumento venne restaurato nel 1815 e, dopo il sisma del 1908, ricollocato nella sede attuale.
Imboccando la via Lepanto dalla via San Giacomo, il primo edificio che si incontra sulla destra è il palazzo Calapaj-D’Alcontres. Di autore
anonimo e risalente alla seconda metà del ’700, rispecchia già quelli che saranno alcuni dei leit-motiv ottocenteschi: l’uso di festoni decorativi sopra le finestre, i giganteschi cantonali agli
angoli, l’ampio cortile e scalinata all’interno. Nonostante i diversi restauri, il palazzo è l’unico esempio rimasto integro di edificio signorile della classe agiata dell’epoca a tre ordini, con
cornicione composito ornato da una serie di antefisse, festoncini appuntati sulle finestre e intelaiatura prospettica rettilinea che sottolinea ed esalta la struttura muraria interna.
Alla fine di via Lepanto si apre la piazza dei Catalani al cui centro si eleva il monumento a Don Giovanni D’Austria
(1573), opera di Andrea Calamech scultore ed architetto carrarese. Commissionata dal Senato messinese nel 1572, in occasione della vittoria nella battaglia di Lepanto contro la flotta turchesca
il 7 ottobre 1571, la statua in bronzo presenta finissime decorazioni e raffigura Don Giovanni d’Austria, eroe della battaglia navale e figlio naturale di Carlo V , che calpesta la testa del
turco Alì Bassà in segno di vittoria. Sul sottostante basamento marmoreo sono murati quattro pannelli bronzei che rappresentano: il primo, sul fronte della statua, celebra la vittoria di Lepanto
e ricorda il numero delle navi impiegate e i nomi dei senatori messinesi del tempo; il secondo raffigura lo scontro delle flotte cristiana e turca; il terzo la sconfitta turca e il quarto la
flotta cristiana che rientra in porto vincitrice, con una veduta panoramica dall’alto della città.
Attraversata la via Cesare Battisti, si giunge in via Castellammare e quindi alla chiesa Maria Santissima Annunziata dei
Catalani edificata nel periodo che va dal 1150 al 1200, secondo la tradizione sugli avanzi del tempio di epoca classica dedicato a Nettuno. Denominata anche “Annunziata di Castello a mare” o di
“Castellammare” per la sua vicinanza all’omonima fortezza ubicata a guardia dell’insenatura del porto e della darsena, nel secolo XIII fu accorciata con arretramento della facciata, probabilmente
a seguito di un terremoto e sulla nuova parete vennero inseriti i tre portali, il mediano centinato e i laterali architravati con arco di scarico. Nel 1270 venne affidata ai padri Domenicani,
quindi, ad una congregazione di mercanti catalani sotto il regno aragonese e, nel 1607, ai chierici teatini che ne ebbero la loro prima sede a Messina per circa due anni. Il terremoto del 28
dicembre 1908 la risparmiò e facendo crollare tutte le superfetazioni di epoca barocca ed i corpi di fabbrica addossati all’esterno del settore absidale, riportò alla luce le primitive strutture
architettoniche.
Dal 1926 al 1932 si procedette ai lavori di restauro e consolidamento statico ad opera del Soprintendente ai Monumenti arch. Francesco Valenti. A pianta basilicale con tre navate, tre absidi e cupola innestata sul transetto con pennacchi sferici, vi si nota un addensarsi di vari influssi stilistici. Nel settore absidale esterno sono riproposte suggestioni decorative bizantine con una fascia di pietra bicolore alternata, che sottolinea lo svolgersi dell’elegante loggiato cieco punteggiato da esilissime colonnine e ricoprente tutto il settore per poi ripetersi sul tamburo della cupola. Tale sistema compositivo si rifà a modelli del romanico pugliese, lombardo e pisano. Delle tre absidi, solo quella centrale emerge all’esterno, restando incluse dentro lo spessore murario le altre due laterali; soluzione, questa, che oltre ad avere precedenti nell’architettura bizantina, si riscontra in molti monumenti siciliani del periodo normanno e il cui scopo è quello di conferire, ai volumi, uno stereometrico e cristallino risalto. Il portale principale, sormontato dallo stemma romboidale aragonese, presenta caratteri tardo romanici normanno-lombardi nei capitelli e bizantini negli stipiti, mentre elementi di imitazione tardo-romana si riscontrano nei capitelli dei portali minori.
All’interno, le colonne rincassate dell’abside maggiore e alcuni capitelli testimoniano dell’influenza araba; di quella
arabo-bizantina nella cordonatura dell’arco trionfale e nella sua morfologia a peduccio rialzato; di quella normanno-lombarda le strette ed alte finestre delle navate e della cupola e di quella
bizantina, per la maniera di trattare con spessi strati di calce e lunghi mattoni la cupola, l’abside e le finestre, oltre alla copertura della navata principale di tipo mediterraneo a
volta a botte, elemento tipicamente bizantino con agganci al razionalismo costruttivo arabo.
Alla fine dell’ adiacente via Cardines, sugli spigoli dei due palazzi in via Primo Settembre, si trovano due delle
cosiddette Quattro Fontane. Disegnate dal romano Pietro Calcagni che si ispirò all’iconografia marina, utilizzando le consuete raffigurazioni di delfini, cavallucci marini, tritoni e mascheroni
idrofori, due di esse furono completate da ignoti scultori nel 1742 (uno, forse, era Antonino Amato) e le altre realizzate dal fiorentino Innocenzo Mangani, nel 1666, e dal messinese Ignazio
Buceti, nel 1714. Danneggiate dal terremoto del 1908, soltanto due furono ricostruite sullo stesso sito, le altre sono oggi depositate al Museo Regionale.
Alla fine di via Primo Settembre, al numero civico 171 della palazzina che forma angolo con la via Università, nell’atrio, si trovano i resti
dell’antico ingresso della chiesa di Santa Maria del Graffeo, importante edificio chiesastico di rito greco-latino per il quale, il clero che l’officiava, fu sempre in armonia con la fede
cattolica romana rifiutando qualsiasi adesione all’ortodossia scismatica. La sua origine è legata alla separazione dei due riti religiosi (quello greco e quello latino) che si ebbe dopo lo scisma
d’Oriente. In conseguenza di ciò, infatti, il Clero Greco che prima officiava nella chiesa di S. Maria La Nuova ( come anticamente era chiamato il Duomo), vista la continua preponderanza del
Clero Latino si trasferì in questa chiesa, vicino alla Cattedrale, che venne denominata “Cattolica” secondo un privilegio accordato alle più importanti fra le chiese non latine di possedere un
battistero, ciò che valeva per i greci il nome di KATHOLIKI.
Venne quindi introdotto il culto per la sacra immagine della Madonna del Graffeo che presso il Clero Latino era intesa
come Madonna della Lettera ed entrambi la festeggiarono il 3 giugno. All’interno vi era, fra l’altro, il dipinto su tavola della “Madonna del Graffeo col Bambino e la Lettera”, opera del sec. XIV
oggi conservata al Tesoro del Duomo e una colonna in marmo di epoca ellenistica (oggi al Museo Regionale) che sosteneva il fonte battesimale. Sulla sua superficie si trova un’epigrafe in greco
che tradotta significa: “Ad Esculapio e ad Igea servatori tutelari della città”, che testimonia quel culto a Messina in epoca greca. Dell’impianto originale rimangono oggi, come si è già
accennato, i pochi eleganti resti dell’ingresso costituiti da due campate gotiche con volta a crociera su colonne angolari e peducci inglobati nell’edificio, che sono stati risparmiati dal
terremoto del 1908.