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L'inquieta Via Etnea di Antonio Aniante

da: reportagesicilia.blogspot.com/

 

Ci sono luoghi o monumenti che più di altri rappresentano una città; così, per esempio, basta citare “via Etnea” per ricordare subito Catania

 

“I catanesi hanno per questa strada, pur splendida – ha scritto lo studioso Vito Librando – reazioni diverse, dolendosi alcuni che, dopo il terremoto del 1693, gli esperti e il vicario generale duca di Camastra non l’abbiano esattamente puntata in direzione del cratere dell’Etna: dicono gli anziani che bisognò rinunziarvi per non abbattere le case di un nobile…”.

 

Lastricata sino agli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo con blocchi di pietra lavica (sostituiti allora con blocchetti di porfido), via Etnea ha offerto una ricca materia di narrazione e di aneddotica su personaggi, abitudini e umori del popolo catanese.

 

ReportageSicilia ripropone nel post stralci di un testo di Antonio Aniante (1900-1983).

 

Lo scrittore e commediografo originario di Viagrande trascorse gran parte della sua vita fra Parigi e Nizza, conservando però - come si legge nello scritto - uno stretto legame con Catania e con la via Etnea.

 

Il testo - intitolato "I giorni e le notti di via Etnea" - è datato 1962 e venne pubblicato sul II volume dell'opera "Sicilia" della collana "Tuttitalia", edita dalla casa editrice G.C.Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini.

 

La descrizione di Aniante - ricca di riferimenti alle bontà delle gelaterie e delle pasticcerie di via Etnea - rievoca anche eventi e personaggi inquieti della più importante strada catanese: quasi uno specchio dell'estro variabile dell'opera letteraria dello scrittore, che in quella strada finisce con l'identificare se stesso.

   

"La via Etnea è popolata su tre chilometri ma è lunga dal cratere centrale del vulcano all'angiporto, odoroso di spezie levantine, frequentato da giovinastri greci.

La via Etnea è la più rinomata officina di gelati che ci sia al mondo, ed è autentica soltanto d'estate: quando le stelle del cielo di Catania sono le più grosse e più luminose del firmamento, e il gelsomino d'Arabia, che a spighe agghindia i chioschi dei gazzosai, è paffuto e grande come una mano di bambino...

 

... Per la via Etnea tutta, dalle nicchie rossastre del gazometro marittimo alle ombrate stanze dell'Arcivescovado, dalle cabine dei paquebots ondeggianti nel molo alle cellette liliali del convento dei minoriti, è un via vai di gente assetata: in fretta si avvia alle cisterne che vomitano variopinti gelati nei cento caffè aperti sugli ombrosi cortiletti annaffiati di fresco...

 

... Le sette chiese di via Etnea si affollano di mendicanti che agognano il fresco e non han soldi per comprarsi cassate e cannoli. Sui marciapiedi, i bei ragazzi dagli occhi a mandorla e di velluto, vestiti di candida lana, vanno a passo largo di guappo in cerca di liti d'amore. 

Alle terrazze delle birrerie inondate di acqua di acqua trottano nervosi i tavolinetti in un assordante vocìo di camerieri e di clienti. Ma coloro che san leggere e scrivere preferiscono le gelaterie sacre a quelle profane e vanno a nascondersi sotto i pergolati dietro la cattedrale normanna in antiche e ombrose sorbetterie, consapevoli come sono, da tempi immemorabili, che il vespertino incontro con le granite multicolori è un rito...

 

... A dire il vero, spesso la via Etnea finiva di appartenere ai regolari cittadini per cadere nelle mani dei facinorosi: come nei giorni apocalittici dei comizi elettorali, l'avresti detta presa dall'itterizia o dalla peste o dal colera: caffè, negozi, portoni e finestra si sbarravano in un batter d'occhio al primo petardo dei dimostranti, alla prima torcia che sbucava da una via laterale. 

O erano gli studenti dell'Istituto Nautico, che pigliavano d'assalto il centro, trascinandosi dietro tutta la studentesca delle altre scuole. 

O la sera della festa di Sant'Alfio, quando i carri e i calessini con gli ubriaschi in lunga teoria scendevano da Trecastagni, sfilavano per via Etnea, abbandonata spelonca, provocando la mafia che li attendeva al varco. 

O quella volta che più del solito si fece sentire la fame, durante il primo conflitto mondiale: il corso Stesicoro fu invaso da una moltitudine preistorica, goyesca, e chi in groppa a scheletrici cavalli e chi armato di tridenti, feccia, ceffi mai visti, che saccheggiarono i bei magazzini e sparirono sotto il fuoco dei carabinieri, non si sa dove, come un incubo, e chi li ha più visti!...

 

... Fin che fuggii come perseguitato da quel tratto di strada che pure fermo veniva a gettarmisi addosso nelle mie insonnie di precoce adolescente, dissi addio al cuore di Catania che non avevo ancora 17 anni.

Ho fatto di tutto, nei miei vagabondaggi attraverso il mondo, per dimenticare l'aristofanesco cervello di Catania, mi fu impossibile far pelle nuova; ovunque andavo, mi portavo sulle spalle rachitiche la via Etnea; senza volerlo, tentai di liberamene, gettandola di peso nei miei cinquanta e più volumi di romanzi e novelle; ora soltanto comprendo, a sessant'anni, che il cervello di Catania è il mio cervello, la via Etnea sono io, ed ogni qualvolta ritorno al vero me stesso con le sue false e genuine qualità, la ritrovo, come adesso: fosforescente scia levantina che va dal vulcano nativo al mio mare".